Siamo a tavola, sole, parliamo di tutt’altro.
A un certo punto comincia a salire ‘sto sorriso a metà faccia.
Inclina la testa a destra.
Guarda il piatto, e mi dice “devo dirti una cosa…”
Il sorriso si fa più largo.
“Aspettiamo un bambino”.
Mi si incolla in faccia una specie di ghigno di granito che non sale e non scende: resta più o meno a metà in una roba che si capisce, vorrebbe dire “ma che bello” e in realtà è “ma vaffanculo”.
“Bene” balbetto.
A questo punto tutto il dialogo precedente viene cancellato, subissato da tutt’altro.
Io e lei ci conosciamo da anni e che ci frequentiamo a fatica.
E’ una specie di amicizia imposta dal gioco delle coppie.
“Sono di due mesi!”
“Bene”
Lo dico ma non lo penso.
In quel preciso istante mi rendo conto di essere una donna orribile.
Io non sono felice per lei.
Non riesco a strapparmi dalla faccia quest’espressione. Un ascesso amaro di risa. Una smorfia di congratulazioni.
Lei va avanti a snocciolare dettagli di quanto non ci pensava, di tutti i suoi problemi fisici, di quanto fosse e sia stressata.
Lei che lavora a due metri da casa e alle cinque ha finito.
Lei.
Lei si e io no.
Poi parte coi dettagli dei sintomi, le nausee, e “guarda, sono anche dimagrita un chilo”
Lei.
E io penso che la natura davvero ha un pessimo senso dell’umorismo.
Questa donna di così poco talento si riprodurrà.
Lei che fa un lavoro che non le piace.
Lei che ha un matrimonio che va male.
Lei.
Non sanno come chiamarlo.
Non si sente pronta.
Certo che non lo sei.
Avessi deciso io, non lo saresti stata mai.
Lei sceglierà corredini. Passeggini. Biberon.
Lei si sentirà chiamare mamma.
Lei, che non ha nessun talento.
Lei che non ha niente che io possa invidiare, a parte questo.
Lei.
“Sono felice per te”, dico.
E non è vero niente.
In realtà la odio perché lei ci è riuscita e io no.
Non voglio consigli. Non voglio farmi consolare, non voglio sentirmi dire che ho tempo.
O che sono giovane.
Non sono giovane.
Ho una cazzo di data di scadenza anch’io.
Ho un orgoglio.
Ho un corpo che fa tic tac da due anni a questa parte.
Ho un ciclo mestruale che settimana scorsa mi ha giocato un brutto scherzo, illudendomi.
Ho pianto urlando che non era giusto.
E non è giusto.
So solo che non è giusto.
E sono stufa di avere donne incinte attorno.
Sono stufa.
Quando usciamo da casa loro riesco solo a dirgli:
“Preferisco non vederli per un po’”, mentre lei ci fa ciao ciao dalla porta.
Questa fitta densa è invidia.
Sono male che cade a picco.
Sono un baratro di rabbia contro la vita.
Sono un buco nero d’odio.
Sono un concentrato puro di male augurabile al peggio.
Sono fermento distruttivo.
Sono tutto il colore nero.
Sono cattiva. Senza alcuna attenuante.
Io la odio nel modo più sano possibile.
2 commenti:
ehi. è così. io ho fatto di peggio. i bimbi - due - poi li ho conquistati, mi adorano, mi chiamano zia e corrono a saltarmi al collo appena mi vedono. reprimo brividi di disgusto. odio anche loro.
Strano come sentimento, eh?
Eppure succede.
Non è bello ma succede.
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