24/11/07

Quando si dice tanti auguri.

Poi senza avviso arriva con un rasoio di quelli della pubblicità.
Nella mano destra la schiuma da barba.
Mi dice solo “ti va?” e si siede sul tavolo.
Le ore dopo sono un intenso ripasso di quanto sia bello farla tornare bambina.

Lo so, ti avevo promesso che non l’avrei scritto.
Ma ti ho mentito.

Buon compleanno, Daria.
Anche se sei diventata grande sei sempre il mio piccolo tesoro.

23/11/07

La sottile differenza.

La sottile differenza tra te e lui è che lui mi dice che sono la sua micia divina.
Capito? Non carina, non bella: DIVINA.

La sottile differenza tra te e lui è che lui mi fa sentire speciale anche se vede le altre.
Non so come fa, ma gli viene bene. Tu no. Tu mi fai incazzare e basta.


La sottile differenza tra te e lui non è così tanto sottile, perché si misura in abbondanti centimetri di differenza. Ovviamente a suo favore.



Pensare che ti sarebbe bastata una sola telefonata. Una sola telefonata ogni tanto.

19/11/07

L'odio.

Siamo a tavola, sole, parliamo di tutt’altro.
A un certo punto comincia a salire ‘sto sorriso a metà faccia.
Inclina la testa a destra.
Guarda il piatto, e mi dice “devo dirti una cosa…”
Il sorriso si fa più largo.
“Aspettiamo un bambino”.
Mi si incolla in faccia una specie di ghigno di granito che non sale e non scende: resta più o meno a metà in una roba che si capisce, vorrebbe dire “ma che bello” e in realtà è “ma vaffanculo”.

“Bene” balbetto.
A questo punto tutto il dialogo precedente viene cancellato, subissato da tutt’altro.
Io e lei ci conosciamo da anni e che ci frequentiamo a fatica.
E’ una specie di amicizia imposta dal gioco delle coppie.

“Sono di due mesi!”
“Bene”

Lo dico ma non lo penso.

In quel preciso istante mi rendo conto di essere una donna orribile.

Io non sono felice per lei.

Non riesco a strapparmi dalla faccia quest’espressione. Un ascesso amaro di risa. Una smorfia di congratulazioni.
Lei va avanti a snocciolare dettagli di quanto non ci pensava, di tutti i suoi problemi fisici, di quanto fosse e sia stressata.
Lei che lavora a due metri da casa e alle cinque ha finito.

Lei.
Lei si e io no.

Poi parte coi dettagli dei sintomi, le nausee, e “guarda, sono anche dimagrita un chilo”

Lei.

E io penso che la natura davvero ha un pessimo senso dell’umorismo.
Questa donna di così poco talento si riprodurrà.
Lei che fa un lavoro che non le piace.
Lei che ha un matrimonio che va male.

Lei.


Non sanno come chiamarlo.
Non si sente pronta.
Certo che non lo sei.
Avessi deciso io, non lo saresti stata mai.

Lei sceglierà corredini. Passeggini. Biberon.
Lei si sentirà chiamare mamma.

Lei, che non ha nessun talento.
Lei che non ha niente che io possa invidiare, a parte questo.

Lei.

“Sono felice per te”, dico.
E non è vero niente.
In realtà la odio perché lei ci è riuscita e io no.

Non voglio consigli. Non voglio farmi consolare, non voglio sentirmi dire che ho tempo.
O che sono giovane.
Non sono giovane.
Ho una cazzo di data di scadenza anch’io.
Ho un orgoglio.
Ho un corpo che fa tic tac da due anni a questa parte.

Ho un ciclo mestruale che settimana scorsa mi ha giocato un brutto scherzo, illudendomi.

Ho pianto urlando che non era giusto.
E non è giusto.

So solo che non è giusto.
E sono stufa di avere donne incinte attorno.
Sono stufa.

Quando usciamo da casa loro riesco solo a dirgli:
“Preferisco non vederli per un po’”, mentre lei ci fa ciao ciao dalla porta.

Questa fitta densa è invidia.
Sono male che cade a picco.
Sono un baratro di rabbia contro la vita.
Sono un buco nero d’odio.
Sono un concentrato puro di male augurabile al peggio.
Sono fermento distruttivo.
Sono tutto il colore nero.

Sono cattiva. Senza alcuna attenuante.

Io la odio nel modo più sano possibile.

11/11/07

Tu chiamale, se vuoi, presentazioni.

Mi ha contattata circa 9 mesi fa con una lettera educata:
è avvocato presidente di non so bene che albo e che associazione.
Mi dice che gestisce un circolo culturale a Mendrisio, e che gli piacerebbe avermi ospite per una presentazione.
Se per favore, posso contattarlo.
Mi sembra gentile. Allora lo contatto.

Ci sentiamo.
Mi tiene al telefono non so quanto. E’ uno che si dilunga. E’ indubbiamente colto.
Niente da dire.
Sta pure studiando l’ebraico antico, tra l’altro.
Gli piacerebbe incontrarmi per chiacchierare di persona della presentazione.
Lui ha una casa al Sacro Monte, dove va a passeggiare sempre il sabato.
Perché non vado a farmi una camminata?
Perché no. Perché io il sabato mi chiudo in casa. E guai a chi mi tocca.
Beh, allora ci si può vedere in Varese prima che lui cominci la salita al sacro monte.
Grazie, ma io il sabato ho da fare. Anche niente, ma ho da fare.

Ok.
Magari ci sentiamo più avanti?
Mah, perché no.
Va bene.


Di lì a qualche giorno mi arriva un SMS:
Per caso la prossima settimana prenderà un treno per rientrare a Varese.
Per caso lo prendo anch’io?
La prima volta no. La seconda no. La terza neanche. E gli SMS continuano.
E’ meglio che prima o poi mi capiti di prenderlo quel treno, prima che mi tiri scema.


Bah!
E’ la mia tratta… un giorno capita e ci vediamo.
Ultima carrozza.
Parla.
Mi chiede un po’ di me. Mi dice che per questa presentazione è previsto un compenso.
Meglio.
Mi chiede se conosco qualcuno che possa essere interessato a fare la presentazione per attirare un po’ di gente.
Mah… ipotizzo Scarpa.
Scarpa sarebbe fantastico!
Sì, dico io, ma Scarpa fa una vita particolare… è sempre in giro per il mondo. Vediamo.
Pare che ci sia un compenso anche per lui.
Bene.
Allora glielo chiedo.
Siamo a marzo. Per quando è prevista la presentazione?
Novembre.
8 MESI!

Da questo punto in poi, con una cadenza mensile se non addirittura settimanale, mi arrivano domande per sapere se Scarpa ha accettato oppure no.
Scarpa, cortesissimo, si rende disponibile, salvo il fatto di non poter assicurare la propria presenza con così tanto anticipo. Al massimo lo può dire un mesetto prima, non di più.
Lo spiego.
Nonostante questo riprendono le richieste “Scarpa c’è o no?”
Poi cominciano delle richieste strane tipo:
Ma lui viene da fuori?
Certo, viene da Venezia. O da qualunque luogo dove si trovi in quel momento.
Ah, quindi bisogna pagargli il viaggio?
Beh… direi di sì. E pure il pernottamento.
Eh…

Allora rinuncio al mio compenso pur di avere Tiziano, e pur di assicurarmi una dignitosa sistemazione per lui, Anzi. So già che se mi proporranno un posto meno che bello, piuttosto Tiz lo sistemo al Grand Hotel a spese mie.
A lui non lo dico: altrimenti, gentile com’è, rischia di volerselo pagare da solo.

I mesi passano.
Le telefonate no.
Le richieste si fanno bizzarre…
Ma questo Scarpa viene ? (ho detto che non lo posso dire in anticipo!)
O non lo farebbe gratis (e secondo te come campano gli scrittori? Solo coi libri? Questa richiesta tende subito a farmi innervosire. La pretesa che una persona del genere perda gratuitamente il proprio tempo approfittando dell’amicizia che ci lega, mi fa imbestialire. La cosa comincia a puzzarmi)
Oppure non c’è qualcuno che abita più vicino, che ha la macchina, così fa avanti e indietro da solo?
Che so… Montanari!
No. Montanari non può. Decido in anticipo che sarà molto occupato. E in quel preciso istante ho deciso che anche Scarpa non potrà.
Vista la faciloneria della persona, decido di salvaguardare i miei amici e decido che no, nessuno dei due avrà tempo.
Mando una mail a Tiz scusandomi per la rottura di palle (che di fatto è andata avanti mesi siamo a giugno. O luglio.)
Inventerò io la scusa buona per levarlo d’impiccio, visto che l’operazione sta prendendo una piega poco seria.



Settembre.
Sono quasi in ferie. Il tizio mi richiama.
Scarpa?
Ha detto di no! Ribadisco io. E basta.
Ok. Allora la data va bene?
Non mi hai dato nessuna data. E poi sto partendo per l’Egitto.
Lui mi dice di chiamarlo quando sarò là.
Se lo scorda: io in vacanza spengo il telefono e tanti saluti.
Anche se chiamasse Dio, troverebbe staccato.
Possibile, per una telefonata?!
Già. E’ assolutamente possibile, anzi certo, che io non faccia nessuna telefonata.
Tantomeno a uno che dovrebbe occuparsi di organizzarmi una presentazione senza rompere troppo le palle.
In vacanza mi manda un SMS con la data della presentazione.
Non gli rispondo: sono stanca di ripetere sempre le stesse cose.

Torno.
Per scrupolo gli mando una mail riconfermando l’assenza di Tiziano (credo di essere arrivata almeno alla decima volta)

Mi risponde con un “non amo scrivere le mail. Chiamami”
E che cazzo! Fa l’avvocato. Si è vantato di aver vinto cause milionarie.
Ha case e ville. E io lo devo chiamare?
Non lo faccio.
Si chiama questione di principio.
Fino a prova contraria è lui che ha bisogno di me e non viceversa.

Passano forse 15 giorni.
Mi arriva un SMS piccato dove mi si chiede se sono ancora interessata alla presentazione, che ancora non ho dato risposta se va bene la data e insomma non si fa così.

N.B. in quei giorni stavo giusto impazzendo per quadrare la famosa presentazione di Carnago che, diciamocelo, non è stata facilissima da mettere insieme: orari, mail, richieste…

Dico che la data va bene (…che strano, non mi ha chiesto se Scarpa viene. Che l’abbia finalmente capito?)

Il giorno dopo lo chiamo, visto che lui poverino ha degli evidenti problemi anche col telefono, oltre che con la testa.

Mi dice che farà lui la mia presentazione. Io già penso che la gente s’addormenterà.
Poi mi chiede se di solito il mio compagno viene a vedermi alle presentazioni.
Certo che ci viene, ma questo cosa c’entra?

No, visto che lui non guida, bisogna trovare qualcuno che porti me, lui e un altro paio di carampane fino a Mendrisio.
Giuro che non ci voglio credere.
Eh, no! Decido all’istante che il mio compagno è indaffaratissimo e no, non ho nessuno che mi possa portare.
Allora lui chiederà a suo figlio che ha una ventina d’anni e che non è molto contento di doverlo scarrozzare. Comunque farà ‘sto sforzo.
Ah, e per il ritorno? Dove ho detto che abito?
No, perché al massimo mi riaccompagna a Varese, non più in là.
Il figlio è già troppo gentile a portarci. Non riesco a farmi riaccompagnare da qualcun altro da Varese a Mornago?
Io con un minimo di ironia dico… Beh, posso passare la notte sul divano di casa dei miei.
Tanto loro stanno a Varese, voglio dire: cosa sarà una notte su un divano per una che scrive i libri?
Non capisce l’ironia e mi dice “bene, allora questa l’abbiamo risolta”
Poi mi chiede una breve biografia da mandare a un suo amico ticinese che stilerà la locandina d’invito.
E mi chiede di mandargli qualcosa della mia rassegna stampa.

Gli dico che devo vedere e cercare le cose più interessanti.
Mi dice di spedirgliele per posta.
Non si fa neanche venire il dubbio che per me quella è una spesa- minima ma è una spesa, e che la cazzo di telefonata che sta durando da circa venti minuti la sto pagando io.
In tutto questo le parole Grazie e Per Favore, non sono mai contemplate dal suo vocabolario.
Manca un mese alla fatidica data.
Io sono già al limite della pazienza.
Ma mi dico che è anziano, che dopotutto una presentazione e mi potrà servire per farmi le ossa, e poi vaffanculo, ma voglio proprio vedere se me li dà quei soldi.

Poi di lì a 10 giorni il mio adorato nonno ha un veloce peggioramento della salute, entra in ospedale.
E venerdì scorso muore.
Io sono a pezzi.

Sabato, mentre mangio ingoiando vino e pianto, mi arriva una telefonata.
Allora Valentina, questa rassegna stampa, insomma!
Ah, già… guarda, ho avuto una serie di problemi.
Eh, ma io te l’avevo chiesto insomma, non si fa così!
Mario, ti ho detto che ho avuto problemi.
Oh, guarda che io ho da fare, ho molti impegni, non ho solo questo da fare.
Mario, siamo in due ad essere piuttosto impegnati.
Perché insomma, se non ti interessa… ti ho chiesto la rassegna stampa, devo prepararmi le cose da dire…
Mario, potresti anche sprecarti ad essere più educato comunque… il tono di questa telefonata non mi piace.
Io sono stato educato, sei tu che non mi hai ancora fatto avere niente.
Mario, ho appena avuto un lutto in famiglia, sono emotivamente provata, ti invito ad avere un tono più cortese…

(non mi ascolta e spara l’unica frase che non doveva dire)

Eh, oh, guarda che alla fine sei tu che devi essere presentata, mica io!



Lascio passare un secondo di silenzio. Chi mi conosce sa che quel secondo di silenzio segna l’inizio dell’inferno. La voce mi si alza di diversi decibel, E chiunque si trovi fisicamente a pochi metri da me si allontana di propria iniziativa perché faccio paura.


Sono io che devo essere presentata, non lui.
Ma che cazzo pensa di farmi questo qui? Un favore?
E’ da mesi che mi rompe le palle, che mi fa perdere tempo.
Sono stata tanto gentile da star ad ascoltare le su cazzate.
Mi sono anche sbattuta per vedere se potevo migliorare la serata.
Mi sono sorbita paziente le magagne di questo idiota totalmente incapace di organizzare una cosa qualunque.
Ma per chi mi ha presa?

“Beh, c’è una cosa che non hai capito:
non sono io che ho bisogno di te. Sono stata fin troppo gentile ad ascoltare le tue minchiate fino adesso. Non me ne frega niente di te, delle tue fotocopie, di quello che hai bisogno.
Anzi, sai che c’è? CHE LA TUA CAZZO DI PRESENTAZIONE TE LA FAI DA SOLO!”


Attacco. E finalmente mi libero di questa tenia.
Mai stata così bene.
Non pensavo che mandare a fanculo uno stronzo potesse essere così terapeutico.

Dopo pochi secondi mi arriva un SMS che dice:
“Quanca la merda la munta in scagn o la spuza o la fa dagn.”

Che tradotto significa che quando la merda sale in trono (o in cattedra, o sulla sedia)
O puzza, o fa danni.
(detta in parole povere sono una merda che si è montata la testa)

Personalmente trovo che sia l’epitaffio perfetto da mettere sulla sua tomba.

Morale della storia:

Se volete organizzare una presentazione io ci vengo.
A patto che mi vengano organizzati e pagati spostamenti, trasferta, disturbo e quant’ altro.
E le fotocopie della rassegna stampa fatevele da soli.

Ho ufficialmente smesso di essere gentile.

07/11/07

Foxy Lady

“Se non hai nessuna groupie che ti gira intorno, allora è chiaro che non stai facendo sul serio” (Frank Zappa)

Io faccio sul serio.
Infatti ho le mie groupie.
Mi si stanno facendo attorno col tempo.
Belle, devo dire.
Tutte quante.
Alcune molto più di me.

Sono di una bellezza che non mi merito.
Hanno letto le mie pagine, vorrebbero che dedicassi loro lo stesso interesse che ho dedicato alle donne che descrivo.
Vorrebbero provare.
Rischiare.


E’ la prima volta che mi capita di essere al centro di tanto interesse al femminile.
Alcune si dichiarano disposte a tutto, innamorate.
Altre si confidano, dicendomi che si masturbano e che la gente, soprattutto le amiche, non le capiscono.

Qualcuna fa la gattina.
Ci prova come farebbe con un uomo.


Si vendono come disinibite.
Totalmente disinibite.
Pericolose addirittura.


So cosa vuole una donna da un uomo quando fa così.
Parliamoci chiaro: è facile farli abboccare.
Il maschio tracima e si zerbina a una velocità imbarazzante.

Non ci vuole niente a sdraiare un maschio.

Ma io no.
Io non sono un maschio.
Anche se mi manca il cazzo per essere l’uomo perfetto.

Ho aspettative più alte.
Sono una gara ben più difficile.

Non mi basta una foto scollacciata o qualche ammiccamento per farmi eccitare.
Non mi bastano le promesse.
Io ci faccio caso se “un po’” lo scrivono con l’accento invece che con l’apostrofo.
Le voglio di un certo livello.

Le sgallettate le lascio sotto il palco di qualcun altro.

Cosa volete? Cosa vi aspettate davvero?

Volete entrare a pieno titolo nelle mie pagine?
Vi ci volete leggere nude, crude e sode?

E’ questa la priorità?

Solo questa?

Cosa siete disposte a fare?

06/11/07

Sorridete, dopotutto è un funerale.

Beh, a guardar bene non è che sia poi tanto diverso da una festa: ci sono fiori, gente che ti viene a salutare.
Ci sono anche le candele da spegnere, peccato che non ci sia nessuno a cui cantare “Tanti Auguri”.
Alla fine è come l’ultimo dei compleanni.

Ci sono anche i parenti che non hai mai visto e mai più rivedrai: rami di un albero genealogico che pensavi di aver potato, e invece ti compare il cugino del cugino del fratello di Parma (perché, il nonno aveva fratelli anche a Parma?), che ti chiede “E’ qui il morto?”

Già. Il nonno per quel giorno, almeno per alcuni, diventa “il morto”. Un’entità che di norma è meglio non avere in casa.

Buffo anche che ne parlino con frasi tipo “Eh, il nonno è andato”…
E non lo so perché ma me lo immagino mentre allunga la corsa, in bicicletta, e stacca tutti gli altri in un trionfale assolo ciclistico, come mai gli ho visto fare.
Noi dietro, a inseguirlo coi fiori in mano, che sei morto, dove mai vuoi andare?


Il morto ieri aveva un bel cappotto di legno, visto che la giornata era bella ma fredda. Aveva anche i fiori coi nomi delle nipoti e dell’unico maschietto nato da una famiglia matriarcale, dove noi donne la facciamo da padrone.

Nonno l’hanno messo nei forni, che detti così non hanno un bell’immaginario.
Non è per terra. Diciamo che è al terzo piano di un condominio decisamente silenzioso.

Che strano, arriva un certo punto in cui devi decidere anche quando è il momento di parlarne al passato, e il trapasso si fa anche grammaticale.
A un certo punto smetti il plurale, anche se i nonni eri abituato a citarli in coppia.
Adesso resta solo la nonna.
E ti verrà automatico cambiare anche il nome nella rubrica del telefonino.

Lui non vedrà mai i miei figli. E questo è un altro dato di fatto.

Magari possono sembrare cose brutte da dire, ma da me c’è quella che chiamiamo “la regola del rimpiazzo”.
Per esorcizzare la morte, si finisce a fare la conta di chi ha preso il posto di qualcuno che se n’è andato.
Mia sorella è il rimpiazzo della Bisnonna Elvira (la nonna della mamma).
Edoardo, mio nipote, è il rimpiazzo di una zia del parmigiano che neanche avevamo mai visto.
Gioele (altra new entry cuginifera) è il rimpiazzo dell’altra nonna.

Io non sono il rimpiazzo di nessuno.
Quell’anno lì è andata bene e abbiamo chiuso in positivo.
Vita batte morte uno a zero. Goal di Valentina Maran.

Adesso di rimpiazzi vuoti ne abbiamo due: la zia Titti e il nonno.

Qui tutti si aspettano che io resti incinta prima o poi.
E un attimo di pressione te la senti addosso.


Mio nonno faceva il sacrestano. O il secrista, come si dice da noi.
Quindi mi aspetto che gli abbiano dato un posto di riguardo. Almeno per il servizio prestato.
Io ho un bel ricordo della chiesa. Ci giocavo.
Mi piaceva quando svuotavamo i baracchini delle offerte e io tentavo di convincere il nonno a tenerci i soldi, e lui che mi diceva che non si poteva perché LUI ci vedeva. E faceva cenno verso l’altare.
Io ho sempre pensato che Dio si facesse un po’ poco gli affari suoi.

Ricordo che c’era un crocifisso enorme in sacrestia, una roba a grandezza naturale.

Quando si passava di lì mi faceva sempre baciare i piedi della statua.
Ricordo il chiodo che trapassava i piedi sovrapposti.
Il sangue disegnato che gocciolava.
Io facevo la solita domanda “Ma non lo possiamo tirare giù?”
E lui “no, deve rimanere lì”
E fine della storia.
Poi c’era il dubbio lecito, perché quest’ uomo nudo aveva giusto un drappo a coprirlo lì, e io volevo sapere se sotto ce le aveva le mutande.
Nonno rideva e diceva “Sì”.
E secondo me è ancora una buona risposta.

Mi sa che prima o poi ci torno in sacrestia, a guardare quel crocifisso, per vedere che effetto mi fa.

Ieri si è chiusa definitivamente la parte latente della mia infanzia.
Pace.
Però è stato bello.

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