23/12/14

Che razza di sindaco. Da censurare!


Ma vi rendete conto di che razza di sindaco ho io? Uno che alla vigilia dell’inizio delle scuole a settembre, insieme all'associazione genitori, va a tagliare l’erba con il trattorino dell’oratorio perché non vuole che i ragazzi trovino l’accesso in disordine. Ma dimmi tu se si può! Ma ti pare che un’alta carica pubblica vada a fare l’erba degli edifici scolastici? Uno se ne dovrebbe stare in panciolle nel suo ufficio e al massimo fumarsela l’erba, mica rimboccarsi le maniche.
Ecco, appunto, parliamo anche del rimboccarsi le maniche: se sei una carica istituzionale te ne devi stare in giacca e cravatta ingessato alla scrivania, non darti da fare coi tuoi cittadini, non sudare, non metterti a fare le cose in prima persona.
Quindi, Sindaco, cosa ti sei messo in mente quando hai deciso di candidarti? E quando ti hanno eletto? No, dico, guardati: hai schiere di amici e conoscenti che ti aiutano gratis. GRATIS, capito? Gratis! Che poi così tanti volontari in un Comune non si sono mai visti.
Non ci si crede. Ci sarà qualcosa sotto, perché non può bastare la stima e l’amicizia. Avete mai fatto qualcosa per stima e amicizia voi? Magari solo perché credevate che fosse giusto farla? No, vero? Ecco. Appunto. Le cose si fanno sempre per interesse. Tutte.
Questo Sindaco, sappiatelo, è un sindaco pieno di vizi discutibili: ha l’abitudine di andare fisicamente a controllare lo stato dei fatti dei vari lavori e delle condizioni delle strutture. Ogni tanto lo si vede in giro, metro alla mano, a controllare misure degli scavi e costi effettivi della manutenzione delle aziende che hanno vinto gli appalti del comune. Complotto! Da quando in qua si controlla? È offensivo! Come si permette? Dov’è finita la fiducia cieca verso i fornitori, quella che ti fa chiudere gli occhi davanti a tutto?

E poi ci sono i problemi veri, eh! Non capisco, per esempio, perché si ostini a darsi da fare per sistemare il cimitero fatiscente quando lo si potrebbe tranquillamente lasciare così. Tanto sono morti quelli, mica si lamentano. Al massimo se casca qualche calcinaccio facciamo qualche cadavere in più, che sarà mai! E pretende anche che si segua una gara su piattaforme certificate per dare la massima trasparenza. Ma mettici sopra una bella chilata di cemento, altro che trasparenza. Non puoi aspirare alla trasparenza, al massimo a un vedo-non vedo o a un nude look. Certe cose si nascondono con stile! Dovrebbe imparare a insabbiare, coprire, occultare, un po’ come fanno i gatti coi bisogni.
E poi basta autorizzare tutto con questa facilità: carta! Carta! Ci vuole la carta! La BUROCRAZIA! La carta è fondamentale non lo sa? Con la carta si incartano le cose, si impacchettano, si immobilizzano, si fermano. E poco importa se ai bambini dell’asilo pioveva in testa perché c’era il tetto rotto: quelli sono piccoletti, devono germogliare; lasciamo che gli caschi l’acqua in testa e vedrà che crescono meglio.
Le cose, caro Sindaco, si fanno piano piano, lento lento. Possibilmente mai. E fermando il fermabile. Perché le regole sono regole, soprattutto se sei in gioco tu e il banco lo vogliono tenere gli altri. Capito?

No caro mio, davvero non hai capito come si fa il sindaco. Lo stai facendo in un modo che la gente non è abituata a vedere. Guai ad amministrare come il buon padre di famiglia: meglio farlo come l’amico dell’amico.
Torna a quello che le persone conoscono: silenzio, impossibilità di parlarti direttamente, mancanza di dialogo. A una specie di monumento sulla piazza. Con tanto di piccioni al seguito. A questo sono abituate le persone.
Mica allo Steve Jobs della politica: Stay hungry stay foolish.
Questi sono abituati a “stai sazio, stai muto” (e fatti i cazzi tuoi).
Smetti di tirare fuori soldi di tasca tua e le mani mettile in tasca ai tuoi cittadini. 

Smetti di fare le cose di pancia. Falle col culo. 
Fidati: su questo c’è chi è pronto a metterci la firma.

Non vorrai mica pensare di poter cambiare le cose? O forse si?


01/12/14

Patty compie quarant'anni.


Oggi Patty compie 40 anni. Quaranta. Cifra tonda.
Lo sai che hai ancora la faccia da ragazzina, vero? E i tuoi quaranta non saranno mai quaranta, ma sempre qualcuno meno? Non te li dà nessuno tutti questi anni. Non ti ci stanno in quella faccia e quel corpo tanto giovane, che si beffa del tempo con noncuranza.

Patty e io ci conosciamo da una vita. Davvero. Ho perso il conto di quanto. Non so neanche dire quando è cominciata l’amicizia.
Probabilmente su un campo di atletica, se non erro. Ma è stata una cosa talmente viscerale che mi pare ci sia stata da sempre.
Patty è l’amica che c’è.
Quella che quando si andava ancora al liceo si era trasferita in un’altra città per lavorare e studiare e non c’erano i cellulari, e il telefono fisso costava.
Allora ci si scriveva il più spesso possibile.
E quando le lettere arrivavano quello che c’era scritto era già sorpassato da qualche altra novità e tu avevi sempre l’impressione di arrivare in ritardo rispetto alla sua vita.
Poi c’è stato il periodo milanese.
Pata, quante volte ci abbiamo provato ad andare a vedere le gare notturne all’Arena? Tutti gli anni pianificavamo poi, puntualmente, finivamo a mangiare un boccone e a chiacchierare per ore e ciao gare. Preferivamo stare sul divano a discutere del mondo.

Patty è l’amica che c’è sempre stata.
Patty c’è stata per i miei litigi con mio marito, c’è stata quando ho avuto bisogno un posto dove stare, c’è stata quando ho avuto bisogno di una spalla su cui piangere e una compagna con cui ridere.
Patty è un’amica di quelle che non puoi pensare una vita senza.
I miei bambini sono anche i suoi.
E questa è una certezza che consola molto quando sei madre. Perché i figli saranno anche il tuo futuro, ma a un certo punto ti viene da pensare “e se io e Gigi non ci saremo più?”, tu sai che non saranno soli, e tra l’amore su cui potranno contare ci sarà anche quello della zia Patty.

Patty fa quarant’anni e ha la schiena più bella del mondo.
Patty è l’atomo impazzito, l’energia pura concentrata in un corpo straordinario e minuto.
Patty sono io, in versione più interessante.
Patty è Patty (però non chiamatela Patty: io posso chiamarla Patty, voi chiamatela Patrizia. È una questione di rispetto e vi sconsiglio di farla incazzare).
Patty ha fatto le cose che io non avrei mai avuto il coraggio di fare, come andarsene presto di casa per rifarsi una vita, oppure viaggiare con un sacco a pelo in spalla per qualunque posto le venisse in mente.
Io e Patty abbiamo fatto insieme un sacco di cose, e quest’anno, ironia  - o cinismo- della sorte, ci siamo consolate a vicenda, quando la vita ha portato via a lei la madre e a me il padre. Facciamo tutto insieme amica mia. Anche questo.
Hai quarant’anni e io te lo auguro di invecchiare come vuoi: guardando il mare. E lo so che lo farai. Mentre io me ne starò qui in ciabatte, con le cannette al culo, appassita sul divano con le pastiglie della pressione a pensare a che bella vecchiaia starai facendo tu J

Patty mi ha detto la cosa più bella che mi sono sentita dire in vita mia: un giorno mi stava raccontando l’ennesimo viaggio che stava per fare in giro per il mondo da sola e io le ho detto “Ma non hai paura di perderti?”
E lei mi ha detto “E perché? Tanto c’è sempre qualcuno a cui chiedere!”.
Ecco, se non la conoscete, dovreste farlo. Ne vale la pena.

Auguri Pata. Per i tuoi primi quarant’anni, che tanto non dimostrerai mai.

23/11/14

Essere di Varese.


Varese ha una strana identità. Essere di Varese ha un sacco di perché. Quelli di Varese sono quei che devono prendere i treni delle nord ogni mattina presto per andare a Milano. Siamo i pendolari a vita della capitale meneghina. Noi di Varese non siamo una Milano in piccolo. Da noi dare del milanese a qualcuno è uno sfottò. Quindi se qualcuno vi dice “sei proprio un milanese” preoccupatevi.
Se vai a Milano ci trovi un sacco di varesini in trasferta permanente. Ci trovi gente che torna ogni week end ma si guarda bene dal dirlo, perché è meglio andare a Santa o in qualsiasi altro posto della pianura padana piuttosto che venire a Varese. 
Noi ce l'abbiamo con Milano da una vita. 
Ogni tanto anche con Como, ma è più una roba calcistica. 
Se sei di Varese gli amici di Milano non ti vengono a trovare perché anche col tom tom non trovano la strada. Mentre a te basta spiegare l’uscita da prendere e cinque rotonde da contare, ciascuna con qualcosa di ben definito in mezzo, tipo un aereo o una canoa, e sei arrivato. 
Essere di Varese ti fa crescere con la voglia di riscatto, non sai mai bene da cosa. Forse un bisogno di identità. Perché essere varesini non è come essere varesotti, se sei di Busto o di Gallarate con Varese ci fai solo provincia, non identità. 
Essere di Varese ha i suoi motivi d'orgoglio. Abbiamo cose nostre che restano mitiche e valgono per tutti. Essere di Varese ti dà l'impressione di non fare cose abbastanza grandi quando le fai. Che ci vuoi fare? È che viviamo di confronti. Vallo a spiegare a quelli di Milano che loro hanno i panzerotti di Luini e noi la pizza dello Zei.
E poi se chiedi dove si mangia bene la pizza, loro arrivano con un elenco infinito di posti, noi con tre al massimo: lo Zei per quella al trancio, la pizza della Motta e l’altra pizzeria proprio all’inizio del corso. Fine. Varese ti dà poche scelte, prendere o lasciare, e la vita, se vuoi, ti si risolve nel giro di pochi chilometri.

Quelli di Milano hanno il Duomo, noi il Sacro Monte, loro hanno la Rinascente, noi la Standa, loro hanno da Claudio, e noi ce ne guardiamo bene, perché mettersi a tirarsela per mangiare il pesce in pescheria è proprio da milanesi. Loro sono quelli che il bosco lo devono mettere in verticale perché non hanno più posto. Venissero da noi di boschi ne vedono quanti ne vogliono, a perdita d'occhio. Infatti ci chiamano la città giardino. E a questo punto si apre il filone marketing: i milanesi si sarebbero spacciati per gente dal pollice verde mettendo in piedi serre dove compri i fiori, mangi, bevi e ci organizzi pure i matrimoni. Noi no: qui o fai una cosa, o fai l’altra. 
Milano è la nostra antagonista ricca, quella apparentemente riuscita. Loro hanno via Monte Napoleone, noi le vasche in corso. Loro hanno i musei, noi villa Panza, loro hanno il principe di Savoia, noi il Palace (si, qui ci sarebbe stato bene dire che abbiamo il Grand Hotel del Sacro Monte, quello in stile liberty, ma essere di Varese significa anche questo: avere delle domande senza risposta, tipo "Quando lo riapriranno? Boh" ). Quando sei di Varese prima o poi finisci sparpagliato nel milanese in mezzo a un sacco di identità diverse, qualcuno nega di essere nato qui: troppo difficile ammettere di essere della provincia.
Essere di Varese ti fa trovare un sacco di buone scuse per non andare a Milano, prima tra tutte il traffico e le strade, il caos, noi che la città te la facciamo girare tutta in un unico, filatissimo senso unico. Essere di Varese ti fa essere così: arrabbiato con la vita, alla costante ricerca di qualcosa di meglio. Non lo so se sia un gran posto, anche perché lo state chiedendo a una che non è nata in centro. Qui quando si dice essere di provincia, si intende quella vera. E io lo sono orgogliosamente. Quindi se vi va, venite a fare un giro, ammesso che il tom tom vi ci porti e non pensiate che sia troppo lontano. Dopotutto c'è il lago. Fermo, ma c’è il lago.


12/11/14

"Ma lo sai che sei carina?"

Per carità, attaccar bottone è pure una bella cosa. Però dipende dal dove, dal quando e soprattutto dal "se mi va di chiacchierare con te". In vita mia mi sono sentita urlare dietro di tutto, e non perché io sia un gran che. In questi anni sono passata dal trovare divertenti e addirittura lusinghieri alcuni commenti, al non tollerarli più. Mi sono resa conto che ero vista e guardata come un pezzo di carne con le tette. Una vagina a passo spedito. Cosce in movimento. Mi sono domandata cosa volesse, alla fine, quella gente da me. Se non faccio ciò che si aspettano- ovvero sorridere e in qualche modo "starci",  se non rispondo, o peggio, dico di lasciarmi in pace, divento immediatamente la peggio stronza sulla faccia della terra. Una da insultare.
Se fossi accompagnata da un energumeno quei complimenti mi arriverebbero lo stesso?
Se fossi un uomo, mi saluterebbero comunque?
Questi uomini si domandano se a me fa piacere ricevere certe attenzioni?
A loro è mai venuto in mente che sto facendo altro, che se cammino per strada è perché mi sto facendo gli affari miei e che no, non amo essere disturbata?


Su Elle il mio pezzo a riguardo. 
 (la foto è presa dal sito di Hollaback, di cui parlo nel post).

14/10/14

Quanto costa avere una vagina?


E' colpa loro: di Massimo Guastini e Ema Soi se mi sono messa a scrivere anche sul blog dell'ADCI.
Il primo pezzo è dedicato alla ricerca di Credit Suiss sulla presenza femminile nel mondo dei manager delle aziende. Poco cambia rispetto a quanto sappiamo. E a conti fatti avere il pisello conviene ancora, perché avere una vagina  ti fa pagare uno scotto altissimo in termini economici. Detto questo no, non mi sognerei mai di farmi impiantare un pene: tenetevi pure il vostro orgasmo da tre secondi; io mi tengo la passera e tutto il bello di avere miliardi di ricettori che voi neanche immaginate.

Se vi interessa, l'articolo è questo.

24/09/14

25 settembre: l'amore adolescente.



La prima cosa che ho pensato di lui quando siamo usciti è che fosse un po’ strano. Non nel senso di pericoloso, ma strano perché ci stava mettendo due ore a fare in macchina un percorso che di massima avrebbe richiesto mezz’ora, quaranta minuti trovando traffico.
E ha parlato, parlato, parlato, parlato. Mi ha stordita a chiacchiere e risate quel giorno.
È andata così, al nostro primo appuntamento, dato una domenica pomeriggio e proseguito fino a sera.
L’ho trovato bellissimo (ovvio!) quando, appena salita in macchina siamo partiti e lui mi ha chiesto se mi dava fastidio il sole e se volevo i suoi occhiali. Se li è sfilati per darmeli e ho visto i suoi occhi verdi. "Azz, verdi", ho pensato. "Mica male".
Nessuno dei nostri figli ha preso i suoi occhi. Il piccoletto sì, ce li ha azzurri, ma non sono del colore intenso dei suoi. Così, in casa, ce li ha solo lui.

È andata così, una specie di colpo di fulmine. E se ve lo state chiedendo, l’ho chiamato io, perché la sera prima mi era piaciuto subito, mente chiacchierava con una mia amica. Lei si è fatta dare il numero e me l’ha passato.
Ho telefonato il giorno dopo, senza avere una scusa buona, solo per la voglia di sentirlo.
Lui ha fatto il resto.

Da lì in poi non ci siamo più lasciati.
Oh, non è che sia andata sempre bene, eh! Pure adesso i nostri scazzi ce li abbiamo. Però in qualche modo funziona.

Abbiamo fatto un sacco di cose insieme:
due figli
una casa
qualche vacanza
molte litigate
un’auto nuova e una usata
una campagna elettorale
una malattia degenerativa
una coppa del mondo
un licenziamento
visto nascere figli di amici e visto morire alcuni dei nostri cari.
Abbiamo fatto la spesa insieme spingendo lo stesso carrello per ogni settimana, dal 25 settembre 1999 in poi.
15 anni.

‘Sti cazzi, topo, ne abbiamo fatta di strada insieme, eh!
Stavamo contando l’altro giorno, abbiamo quasi messo su un chilo a testa per ogni anno (solo che tu sei più alto di me e si notano meno).

15 anni.
Abbiamo un amore adolescente, io e te.
Infatti siamo rimasti due cretini.

E comunque, amore mio, rifarei tutto. Tranne il pranzo al ristorante dopo la cerimonia. Quello ha fatto cagare.

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