24/07/14

Estate, il mese dei maniaci.



Corri.
Quando senti un’auto che rallenta, corri. Sai che è meglio tenere un po’ di fiato da parte perché se da quella macchina scende qualcuno che non vuoi incontrare dovrai avere la forza e il fiato di scappare.
Corri nelle strade più deserte in questa provincia fatta soprattutto di verde, a respirare ossigeno e idrocarburi. Corri lì perché i boschi ti piacciono e ragioni sul fatto che non sia giusto non poter scegliere che strada fare solo per la paura di qualcuno che possa decidere di farti del male.
Corri per dispetto, con disprezzo, a chi negli anni in quei boschi ha provato a fermarti e toccarti.

La prima volta è stato a sei anni, un tizio che facendo finta di fare la pipì a lato della strada ti ha chiamata e tenendosi il pisello in mano ti ha detto “Ciao”
Hai tirato dritto con tua cartella in spalla anche quando ti ha affiancata in macchina e ti ha chiesto se tu bella bambina, volevi un passaggio.
Hai detto un no secco senza voltarti e hai continuato a camminare pregando che non ti seguisse.
La strada fino alla scuola ti è sembrata lunghissima quella volta ma lui non è più tornato. Ce ne sono stati altri, negli anni.
Quelli che capivano che abitavi in un luogo isolato e allora si fermavano, ti curavano, e come arrivavi alla zona più lontana dalle case provavano a fermarti.
Ma tu correvi più forte di loro.
C’è stato anche chi ha giocato d’anticipo fermandosi pochi metri dopo di te e facendoti vedere il cazzo così, come si sfoggia un giornale in spiaggia.
Allora viravi verso la casa vicina bussando come una disperata e chiedendo di poter chiamare a casa per farti venire a prendere, perché ai tuoi tempi il cellulare non c’era e potevi contare solo sulla compassione dei citofoni degli altri.
C’era sempre chi ti apriva, e qualcuno anche ti accompagnava a casa, ma il maniaco se n’era già andato.
C’è stata la volta in cui hai corso più di tutte, quella in cui un gruppetto di zingarelli stava facendo il bagno nel fiume del bosco, e si sono messi a rincorrerti, forse per puro gioco, forse solo per farti spaventare. Ma anche quella volta te la sei filata.
Hai fatto una vita ad andare più forte, gambe in spalla e pedalare chilometri, arrivare al cancello di casa col fiato corto, il cuore in gola, l’acido lattico fino alle cosce e la certezza di essere in salvo. Roba che quasi ti veniva da urlare “Tana!” quando superavi i battenti di casa, come fosse un gioco dove quella che non si diverte per niente eri tu.

Succedeva quasi sempre d’estate, il mese dei maniaci.
Il mese in cui una certa parte di maschi del paese decideva che era arrivato il momento di far prendere aria al pisello. E di farlo vedere proprio a te.

Corri.
Sfidi la sorte e corri senza portarti il telefonino. Forse qualcuno dirà che fai male, che dovresti tenerlo per la tua sicurezza. Ma correre col telefono per te non è correre.
Niente impicci, niente roba addosso.
Corri senza cuffie, perché non ti piace non sentire i rumori, devi sapere chi arriva, se rallenta, se ti sta raggiungendo, chi si muove attorno a te.
Corri cappellino e testa bassa, ritmo nelle gambe, senza arrivare mai al limite della resistenza. C’è sempre quel bagaglio minimo di fiato che serve per la fuga.

Corri arrabbiata, perché vuoi che chiunque cerchi di fermarti abbia paura, vuoi che ti tema. Vuoi che nessuno trovi un buon motivo per attaccar bottone. Che a nessuno venga in mente di chiederti un’informazione.

Corri con la stessa serenità delle preda. Allo stesso modo.
Corri senza essere invitante. E se qualcosa dovesse succederti, sai già che qualcuno sarebbe capace di dirti che te la sei andata a cercare.
Tu, che a 37 anni di corsa, non hai nemmeno il diritto di scegliere che strada fare.

E lo sai, che se fossi stata un uomo, avresti corso in tutt’altro modo.

15/07/14

Talebani e talebane? No, grazie.



Se c’è una cosa che tende a farmi imbestialire sono quelle persone che pensano di avere la ragione in mano e nulla fanno per comprendere o semplicemente discutere e dialogare con chi non la pensa allo stesso modo.
La talebana – o il talebano- come li chiamo affettuosamente con le amiche, non ammette altra verità all’infuori della propria.
Il primo argomento che esplicita è il suo totale, assoluto, catastrofico dissenso verso qualcosa.
È categorico e senza ritorno.
Se non fai come dice lei (o lui) non meriti di esistere, nella maggior parte dei casi sei una pessima persona, uno stupido, un incoerente, qualcuno che merita di essere debellato dalla faccia della terra.
Il talebano difende sempre qualcuno a costo della vita. La tua. 

Il secondo commento che usa a difesa della sua tesi è "Ti sei informato?"
Loro lo hanno fatto. Magari da fonti non attendibili, senza verificarle, snocciolando a catena solo argomenti che interessano a loro, non certo alla ricerca di una dialettica costruttiva, di un confronto alla pari con cui misurare la fondatezza di quello che pensano.
I talebani sparano, non solo cazzate, ma epiteti, come se non ci fosse un domani.
Ti trattano da stronza, perché “ti pensavano diversa” e credevano che “tu fossi un'altra”. Nel senso che ti volevano omologata a loro.
La talebana (e il talebano) si schiera, nell’ordine, a difesa di alcuni temi a suo avviso di vitale importanza.
Sono, in genere, posizioni vicine al cattolicesimo- o dovrebbero esserlo. Peccato che per via di comprensione fraterna e tolleranza ci sia davvero poco da dire.

In vita mia mi è capitato di assistere a livelli di massima intolleranza parlando di:
Allattamento al seno
Il parto naturale
Il conflitto tra Israele e Palestina
I vaccini
L’aborto
La scelta del fine vita
La sperimentazione animale.
E probabilmente anche qualcos' altro che ora mi sfugge, tipo se sia lecito macellare i cavalli e mangiarli.
Gli argomenti sono i più disparati e riguardano ogni condizione della vita: la tua. Perché loro hanno la soluzione di come dovresti vivere tu.

I talebani hanno foto, tantissime foto strappalacrime di quelle con le frasette dei baci perugina sopra, e le usano all’inizio della conversazione per farti capire da che parte stanno.
Poi quando la discussione prende una piega più decisa, allora sfoggiano la pornografia del dolore, roba che neanche il peggior splatter di Tarantino riuscirebbe a partorire: cani dissezionati, bambolotti insanguinati e crocifissi, gente dilaniata dalle bombe, vecchietti con le cannette al culo.
Tutta una case history del peggio, che conservano probabilmente in una cartellina a fianco alle foto delle vacanze. Sarebbe carino sapere sotto che nome e con che etichetta.

Col talebano è impossibile dialogare, nel senso che non ammette altro pensiero che il proprio.
È lo stereotipo della persona per bene, che però augura ogni male a chi non pensa bene come lei.
I talebani, in genere, sono il male travestito da pane e Nutella.
Perché il pensiero giusto è il loro.
Il tuo non deve esistere.
I talebani in genere si offendono sempre alla fine di un post come questo e non capiscono di cosa sto parlando. Non si accorgono che non ho dato giudizi su nessun argomento, a parte sull'intolleranza.
Alla fine ti tolgono l’amicizia su facebook. Ma a conti fatti non è che sia poi un male.
Tu, per conto tuo, potevi lasciarli anche nella timeline a dire la loro, non ti davano fastidio, tanto sei per il "pensala pure come vuoi, non sono d'accordo, ma va bene così".

Detto questo ora prendete la mira e sparate. Tanto mi sposto.


04/07/14

Volevo i capelli corti.



Avevo i capelli corti verso i 12 anni. Li portavo così perché li trovavo comodi e pensavo non ci fosse niente di male. Li avevo a spazzola. Poi a un certo punto ho cominciato a farli crescere. È una cosa a cui non avevo più pensato fino a che non ho visto questo spot.
Effettivamente è andata così: era il periodo dell’adolescenza. Fai atletica leggera, corri forte, sei una tosta in pista. Hai i capelli cortissimi e un fisico che ormai è formato, è muscoloso, tonico, definitissimo. Tua madre ti dice che coi capelli corti sembri un maschio. Un giorno sul campo di atletica saluti due ragazze che hai visto a una festa di compleanno di un’amica e loro, allontanandosi ridendo dicono “cacchio, pensavo fosse un maschio, sembrava pure carino”. Quello è il periodo del primo fidanzato, quello che comincia a dirti che coi capelli corti non gli piaci, che non ti devi mettere i body per correre perché è geloso anche se non è mai venuto a vedere una tua gara; è il periodo in cui tua madre sarebbe più felice di vederti in tacchi che con le scarpe da ginnastica. Poi non so dire come, ma le cose cambiano. Inizia a farti crescere i capelli e passi dalla comodità alla lungaggine dell’asciugatura, ma dai, dopotutto non stai male. Oltre ai chiodi delle scarpette da pista cominci a muoverti anche sui tacchi. Scopri che non è male pure infilarsi una minigonna col fisico che hai e si, ti piace essere guardata. Ci metti anni a fare questa metamorfosi. Dopo le scuole trovi lavoro in una grande agenzia. Lì fai un sacco di esperienze e cominci a vedere che non godi della stessa credibilità dei colleghi maschi nonostante tu abbia vinto altrettanti premi e faccia il lavoro altrettanto bene. Ti trovi sempre uomini in testa, promozioni a loro, mai a te o ad altre colleghe che se lo meriterebbero. Ogni tanto il tuo direttore creativo ti dice anche che è dell’opinione che le donne debbano stare a casa a fare figli, nonostante ormai ti dia praticamente carta bianca su qualsiasi lavoro.
E questo in sostanza lo vedi succedere in varie agenzie, negli altri posti dove lavori, e scopri che c’è tutto un mondo che rema contro le donne e non capisci perché. C’è tutta un’aspettativa sbagliata, che comincia, talvolta, dalle donne stesse. E allora cerchi di capire dove sia il cortocircuito. Intanto, mentre vivi i capelli si accorciano di nuovo. Fai due figli e ti incazzi se qualcuno ti definisce “la mamma di” e puntualizzi sempre che sei prima di tutto una persona, una donna e una professionista, poi in fondo, ci possiamo aggiungere anche mamma, ma è l’ultima delle specifiche, quasi un caso.
Ora porti i capelli cortissimi, nessuno osa dirti che sembri un maschiaccio perché il tuo femminismo ti precede e la tua femminilità trasuda dai gesti, qualunque cosa tu faccia.
Anzi, il bello è sentirsi dire che ti stimano per come sei, non perché sei bella o sexy, di quello ormai te ne infischi, ma perché hai carattere.
E sai perfettamente che a ottant’anni, quando tuo o tua nipote ti dirà: "ma nonna, sei proprio sicura?" quasi senza osare toccare la tua chioma bianca, risponderai “zitt@ e taglia!” facendogli mettere a livello zero il pettine del rasoio elettrico.


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