28/01/15

Fare figli.


Fare figli è così: ti riduci solo a lavorare, a fare delle gran lavatrici e asciugare nasini che perdono il moccio, e solo quello, quando va bene. Se va male sei di turno continuo con questi esserini che piangono, o si lamentano, o vogliono attenzioni, o vogliono vedere per l'ennesima volta (e nota bene- "l'ennesima" quantifica una cifra che va dalle 30 alle 700 volte) lo stesso cartone in DVD.
È un fatica immane, e qualcuno ve lo deve dire se state pensando di figliare. Perché sarebbe disonesto non dirvelo.
Fare figli è un reato contro la libertà. Una bomba a orologeria nel rapporto di coppia.
Lo dovrebbero vietare per legge. Dovrebbe essere vietato avere figli.
E dovrebbero dare un premio a chi, coraggiosamente, decide di non averne facendo di questo mondo un posto migliore.

Lo so, qualcuno mi prenderà per pazza: sono già pronta a sentirmi dire “se non li volevi potevi non farli”, ma il bello è qui, che finché non compri non sai perché nessuno te la dice, la verità. Acquisti a scatola chiusa e lo scopri solo quando scarti il pezzo.
Avessero almeno la decenza di farti avere dei servizi per permetterti di vivere. Babysitter. Assistenza al lavoro. Aiuti economici. Io sono fortunata: ho una nonna che mi tiene i piccoli, ma dalle 18 in poi fino al mattino alle 9 sono miei, e quando dico miei vuol dire che non ho nemmeno il tempo di andare in bagno.
È un ciclo senza fine, un turno senza pause, un lavoro che prevede solo straordinari e senza retribuzione.
Per carità, poi l'aspettativa sociale vuole che a questo punto della frase io inserisca un "però sono adorabili, senza non sarebbe la stessa cosa". Invece no, senza potrei andare finalmente al cinema, potrei finalmente leggermi un libro, mettermi i tacchi, spendere i soldi che guadagno pensando solo a me, potrei andare in palestra e avere il tempo di sentirmi libera e viva.
Invece ogni giorno, ogni secondo buono è speso per il lavoro o per loro.
Sbaglio io che non mi so organizzare? Sfido chiunque a farlo.
Voglio un boccaglio, uno spiraglio di ossigeno, un po’ di vita che sia mia e non più solo quella di mamma, e quindi loro. Dove sta scritto che è finito il mio diritto di sentirmi ed essere donna in favore solo ed unicamente dell’essere mamma?
Arrivano, eh, arrivano anche qui, ora, i commenti del “che ti lamenti a fare?” “Che pessima madre che sei”. Ma chi ha detto che serva sempre essere una buona madre? Chi l’ha detto che “la mamma” è solo quella cosa lì.
Un bel detonatore vi ci vuole. Qualcuno che vi tolga tutti quegli etti di prosciutto tagliato a fette spesse che avere sugli occhi facendo finta che vada tutto bene.
Non ho una famiglia fantastica. Ho una famiglia normale, con bambini che vomitano quando hanno la febbre e vanno a letto solo se li imbottisci di cartoni, storie e coccole. Sono adorabili? E chi ve l’ha detto?
I gattini in foto sono adorabili. Quando si fanno le unghie sulle tue scarpe appena acquistate non lo sono più.
I bambini sono un lavoro a perdere. Sono una fatica immane e immorale.
Fatica, capito? Fatica fisica. Che prevede lunghi mal di schiena, notti insonni, fasce contenitive perché dopo il parto il tuo corpo non è più lui.
I bambini sono feroci, voraci, maledettamente egoisti.
Sono quello che vorrei continuare a essere io ma non posso, perché ormai mi devo occupare di loro.
Quindi se vi sentite anche voi mamme un po’ schifose perché non sorridete come nella pubblicità dei Pampers, se anche voi dareste fuoco alla mamma della Mellin e al suo cazzo di barattolone blu, se anche voi vi girate dall’altra parte, a letto, quando piangono, perché pensate “non muore mica anche se sta lì a sgolarsi un po’”, beh, benvenute nel club. No, non è una famiglia, guardiamocene bene.

Se state pensando seriamente di fare dei figli vi dico di no.
Vi presto i miei per fare un giro di prova.
Venite qui qualche sera, vi faccio fare un rodaggio serio.
Fare figli vuol dire ipotecare la libertà per un numero non definito di anni.
E non liberarsene più.
State ancora aspettando la frase consolatoria che vi dica “quanto è meraviglioso averne?”
Qui non la troverete.
Non fate figli.
Lasciate perdere.
Ne fanno già abbastanza i cinesi.


(fanculo, in tutto questo mi son dimenticata di mettere su la verdura per il passato. E adesso cosa gli do da mangiare?)

13/01/15

A un anno dalla Macelleria Messicana.


È passato un anno, Giovanni.
Un anno da quando sei nato.
Eppure non riesco a dimenticare. Non riesco a far diventare quel giorno solo il nostro ricordo. Di me e te.
La nascita di noi due come madre e figlio.
Per tua sorella è stato diverso. Per tua sorella, nonostante il dolore di 10 ore di travaglio, quel parto è stata una gioia. Per te no. Per te ricordo solo lo schifo della gente, le male parole, lo sfregio, l’umiliazione, e spero mi perdonerai, perché io non posso perdonare loro.
Non posso lasciar passare il fatto che ci abbiano tolto il ricordo, piccolo mio.
Io e te non abbiamo il primo abbraccio, non abbiamo il primo vagito. Non abbiamo neanche un momento che posso ritenere unico e speciale.
Ci hanno scippato la gioia, tesoro. Ci hanno rubato la magia della nascita, che può essere magia anche per un cesareo, se chi hai intorno ti fa vivere quel momento bene.
Io di quel giorno mi ricordo la menzogna, le bugie che mi hanno detto dall’inizio. Ricordo l’incompetenza della persona che mi ha assistita. Ricordo la sua faccia, i suoi modi sgarbati, ricordo le parole dette prima per sminuirmi, poi per sbeffeggiarmi.
Ricordo le urla, gli insulti delle altre ostetriche e della ginecologa.
Ricordo l’odio, profondo che ho provato. E la paura di morire. In quel giorno che doveva essere di nascita io ho avuto paura della morte, e lo ammetto tesoro, ho avuto paura prima per me che per te.
Non sei nato nell’amore, ma sei arrivato in una specie di campo di guerra, tra gente che mi urlava che la dovevo smettere, come se non fosse un mio diritto volerti far venire alla luce in piena sicurezza e in un modo più civile e umano.
Sei arrivato nell’odio. Io, mentre ti partorivo, odiavo. Ho voluto il male di tutte quelle persone che mi hanno tanto umiliata quel giorno.
Mi spiace, avrei voluto accoglierti piena di gioia, mi hai trovata piena di rancore, arrabbiata, delusa e devastata.
Tanti mi hanno detto “lascia perdere”, ma tua madre è così, è una cocciuta, te ne sarai accorto. Tua madre non lascia correre.

Il giorno della tua nascita, il nostro giorno, doveva essere un giorno speciale Giovanni.
È diventato il giorno in cui invece celebro il ricordo dell’incompetenza della struttura sanitaria che ci ha accolto.

Non posso dimenticare. Non ci riesco.
Spero mi perdonerai per questo. Non avrò cose belle da raccontarti ma solo le urla, il rancore, il freddo di quella stanza.
E finalmente il tuo viso, quando mi sono svegliata dall’anestesia.

Non ho momenti belli, tesoro. Dovrai avere la pazienza di costruirli con me giorno per giorno. Ce li hanno tolti senza pensare a cosa significhi. Mi hanno fatto barattare la tua nascita con la violenza.
Calci in faccia al posto di un figlio, prendere o lasciare.
Mi hanno fatto fare i conti con la morte, mi hanno fatto provare l’estrema paura di non potercela fare. Invece eccoci qui, con te che quasi cammini e io che mi gratto le cicatrici che ancora prudono.

Ci hanno tolto il ricordo, tesoro. Quello non è risarcibile. Quello non lo possiamo rifare.
Posso solo promettere bei giorni a venire.
Quello che mi fa rabbia è che tutto questo si poteva evitare. Se solo le persone avessero fatto il loro mestiere come andava fatto.
È passato un anno dalla nostra macelleria messicana, e quella che è stata per me continua a esserlo per molte altre donne che passano in corsia.

Giovanni, buon compleanno amore mio.
E mi spiace che il tuo primo inno alla vita sia stato un sonoro vaffanculo di tua madre.


(Ho solo un pensiero, ancora per la donna – la pessima ostetrica che ha fatto tutto questo: le auguro di rimanere presto incinta, di avere la stessa identica assistenza che lei ha dato a me, e nel momento in cui prova il maggior dolore, quando si troverà a invocare un cesareo e ad avere la paura di morire, spero che la persona accanto a lei le dica le stesse parole che lei mi ha rivolto quel giorno: “Piantala di fare i capricci”. Tanti auguri anche a te, stronza.)


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