10/01/13

Quello che hai preso da me


Emma oggi ha un anno e mezzo.
 Ieri la guardavo dopo il bagnetto e pensavo a cosa farà del suo corpo. 
Ha quella pancia tonda, e buffa, che sembra disegnata col compasso. La pelle perfetta. 
Chissà cosa farà ai suoi capelli, se li vorrà tingere perché il castano che ha adesso le sembrerà o troppo biondo o troppo moro.
 Forse si farà perforare i capezzoli per metterci quegli accidenti di piercing. O si farà bucare l’ombelico. Il labbro.
 Per non parlare dei tatuaggi. 
Non so, forse a un certo punto della vita quel corpo smetterà di farmi l’assoluta tenerezza di adesso e diventerà davvero il suo corpo. L’immagine di sé.
 Quando non vorrà neanche più farsi vedere nuda perché sarà troppo grande. Quando vorrà nascondermi il trucco troppo acceso, un succhiotto fatto sul collo… allora, forse allora quel corpo smetterà di essere parte del mio e resterà solo suo.
 Non so se riuscirò mai a smettere di pensare che sia così tanto mia. Che basterà la maggiore età per convincermi a non avere più voce in capitolo su quell’epidermide così candida. Ad arrendermi al fatto che il suo corpo è suo e non potrò protestare col solito “T’ho fatta io”.
 Si, l’ho fatta io ma l’ho fatta perché vada per il mondo. Perché decida cosa essere. 
Forse non mi piacerà quello che deciderà di fare di sé stessa. Forse arriverò semplicemente a protestare per i capelli troppo corti come fa mia madre adesso con me. 
Forse continuerò a considerarla bellissima. Non ne ho idea. Spero solo che si tratti con cura e rispetto. E che non mi maledica troppo per la quantità di peli sulle gambe che certamente le ho tramandato.

08/01/13

Candidati candidi.



Se ne sentono un po’ di tutti i colori in questi giorni di campagna elettorale.
Sorvolo sui loghi dei partiti che già bastano a dipingere lo sconfortante panorama italico, e mi concentrerei sulle candidature. O meglio: sulle sparate ad effetto.

Un po’ di tempo fa, partendo alla lunga, con una rincorsa presa da chilometri, si mormorava che il PDL volesse candidare Guido Martinetti, ovvero Mr Grom, quello delle gelaterie sparse un po’ in tutto il mondo. Dei due fondatori, Martinetti è quello che ci mette la faccia, perché, diciamolo, non è niente male.
In tv fa la sua porca figura, piace al maschio imprenditore perché giovane di successo che si è fatto da solo a forza di coni e parigine (non le calze, ma le cialde), piace alle donne perché prima di buttarlo via francamente lo porti a casa, non necessariamente incartato.
Insomma: uno che funziona in tv. È già rodato dopo qualche bella intervista in giro: sa parlare, è a suo agio davanti alle telecamere, funziona meglio di Giletti e lo si guarda più volentieri di Fazio. Funziona. Lo sparano sui giornali.
Salvo andargli a chiedere se a lui interessi. E infatti il nostro uomo ha gelato tutti dicendo no grazie.
Evviva. Ma intanto il bailamme è cominciato e tutti a farsi pubblicità con la sua faccia, indipendentemente che fosse vero o no.

Qualche giorno fa la sparata di La Russa che ha urlato trionfalmente ai microfoni di qualche Tg “Candideremo i nostri marò!”
A parte che i marò son tuoi e non miei, io non reputo candidabili due persone attualmente in attesa di giudizio per aver ucciso a fucilate altre due persone.
Non so da che parte stia la verità e cosa succederà, ma giocare al tiro al bersaglio centrando delle persone che se ne stanno a debita distanza su un’altra nave non mi pare titolo al merito per meritare una candidatura.
Con che slogan vogliono presentarli? “Marò, un voto che centra dritto al cuore” ?
Io non ci metto la mano sul fuoco. Non ho capito perché stiamo parlando di eroi se ancora non sappiamo se sono colpevoli o innocenti.


Ultimissima sentita ieri al tg La7, non so chi vuole candidare De Falco, l’uomo che ha urlato  a Schettino: “Salga a bordo cazzo!”

Meglio la faccia, o la reputazione, anche se costruita in modo fortuito non da anni di lavoro ma da una semplice frase urlata in una telefonata privata resa poi pubblica dalla tv. È semplicemente questo: vale più quello che risuona nei titoli di testa dei tg, vale di più essere diventato un personaggio vagamente positivo per quello che idealmente può interessare al pubblico. Non all’elettorato: al pubblico.
Nessun programma. Nessuna vera strategia. Se funziona in tv allora funziona in politica. Le liste come reality. Nomi conosciuti solo per singoli fatti o per volti interessanti, non certo per doti, qualità e idee politiche.
La strategia è quella dell’audience, dello share. Forse pensano che “Salga a bordo cazzo!” valga anche come urlo di incitamento al voto della propria lista. “Salga a bordo, cazzo” del mio carrozzone, non importa cosa dico, fidatevi, basta lo slogan, la faccia.

Votate, votate come in tv, per simpatia. E nel confessionale si entra solo dopo aver rubato, dai carabinieri o dalla polizia.

Se anche la politica finisce per utilizzare gli schemi della televisione, gli stessi parametri, che cosa ne è delle idee, dei programmi, del cambiamento?
Per essere candidabili dovremo anche essere telegenici? A quando un reality sulle prossime leve politiche da portare in parlamento?

Auspico un ritorno alla radio.
Senza metterci la faccia, lì per forza bisogna metterci le idee.


Se Facebook è il male.



Capisco e comprendo la voglia di mantenere il privato, privato. Ci mancherebbe. Ma di contro mi fa una certa tenerezza il messaggio che vedo comparire sulla bacheche di Facebook nel profilo di molti da un po’ di tempo a questa parte.
Mi si chiede (o meglio, la persona chiede agli amici che lo seguono) di fare un’operazione per blindare il proprio profilo e non permettere a terzi di leggere le discussioni.

Facebook è un social network mosso prima di tutto da una volontà di business.
Tutto quello che noi facciamo all’interno del grafo sociale è sostanzialmente pubblicità.
Veniamo monitorati, seguiti, studiati, e analizzati. Diventiamo parte di un enorme algoritmo che servirà fondamentalmente a veicolare pubblicità più o meno dedicata a noi. Siamo target allo stato puro.
Lo siamo in modo analitico. Lo siamo in modo preciso. Sanno i nostri interessi, quello che facciamo, e soprattutto sanno quello che clicchiamo.
Su Facebook l’interazione è la prima regola che ci rende riconoscibili e studiabili. Nessuno dà niente per niente. Vi hanno dato uno spazio gratuito per ritrovare amici e conoscenti (o almeno questa è la promessa in apertura quando ci si iscrive), in cambio diventiamo target effettivo.
Quindi non stupitevi se Facebook col tempo vi renderà sempre più trasparenti, sempre più accessibili a terzi.
È nel suo interesse economico che voi interagiate con più persone possibili: è su questo che fonda la sua economia: vende ai clienti, alle marche, ai prodotti la possibilità di essere visti da più persone possibili.
E questo lo fa invitando la gente a iscriversi e permettendo a ciascuno di allargare la propria rete di contatti. Ciascuno di noi è per Facebook una potenziale piccola piattaforma di risonanza pubblicitaria. Tutto ciò che io commento, clicco, leggo e condivido diviene palcoscenico per altre persone. Si presta ad essere rimbalzato su altri profili. Meglio ancora se questa attività viene fatta con un prodotto. Avete barattato parte della vostra privacy con il vostro “potenziale di influenzamento”. Ciò che mi piace compare sulle bacheche di chi mi segue, e diventa di possibile interesse anche per loro. È ovvio che la piattaforma ora utilizzi piccoli stratagemmi per evitare che possiate limitare la privacy e la visibilità di ciò che vi interessa. Vi lascia ancora spazi per farvi pensare di poter controllare le cose, ma in realtà rende i percorsi tortuosi. La richiesta che vedo sui profili invita gli amici a fare un’operazione per rendere private le discussioni dell’utente. Dovete sperare che lo facciano tutti gli amici. E lo dovrete chiedere anche a tutti i nuovi ai quali vi collegherete. È uno sforzo utile? Serve vista la minima parte di persone che si sbattono per fare qualcosa per voi?
Personalmente credo che non abbia molto senso. È un po’ come vendere l’anima al diavolo: avete dato un po’ della privacy della vostra vita in cambio del collegamento diretto con gente che altrimenti non sentireste più.
Dovete decidere voi se avete fatto bene o no. Avete comunque due ottime opzioni possibili: o cancellarvi da Facebook e mettere fine all’ansia che tutti, o troppi, possano sapere di voi; oppure potete decidere con metodo cosa pubblicare e cosa no. Dopotutto siete voi che decidete quanto della vostra vita mettere in piazza.
Se non volete che si sappia, semplicemente, non ditelo.

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