Il natale è andato così: che Emma è impazzita per la cucina giocattolo, ci passa ore e annuncia in continuazione "MAMMAAAAA; PAPAAAAAA', E' PONTOOOOOOO", salvo poi ritrattare tutto con un "PONTO NO!" un secondo dopo appena ti affacci alla cameretta. E via così.
E' stato il primo Natale dove ha finalmente capito e apprezzato i regali. Il primo in cui ci siamo alzati in piena notte per allestire l'arrivo di Babbo Natale e delle renne. Il primo in cui, da genitore, posso dire di aver ritrovato lo spirito natalizio perché dedicato a qualcun altro.
Viverlo attraverso gli occhi dei piccoli ti fa ricordare un sacco di cose di quando la nanetta eri tu. E ti apre il cuore.
Per il resto nulla.
Continuo ad essere spiaggiata sul divano in attesa dell'arrivo del pupo che si annuncia grosso e casinista.
Dovrebbe esserci per il 18 gennaio, ma dubito di arrivarci visti i dolori continui.
Ah, l'altra notte vi siete persi una fantastica corsa in ospedale per via della pressione alta. Nulla di che, tutto ok: monitoraggio perfetto, pressione rientrata dopo che mi hanno bucato la mano per infilarmici un catetere che poi non hanno usato.
Ostetriche adorabili, ginecologo giovane e gentile.
La cosa più divertente è che, strada facendo, l'unica preoccupazione mia e di Gigi era il mancato arrivo del castello dei MiniPony: Emma sa che il fratellino le porterà quel regalo quando arriva. Lei ha grandi aspettative, ancor più che con Babbo Natale. Il fatto è che il pacco arriverà i primi di gennaio, e noi non possiamo far fare al fratello la figura del barbone che si presenta a mani vuote.
Quindi fino a che quel cacchio di castello non arriva io devo resistere e non partorire.
Sono nelle mani, pardon, nelle zampe dei MiniPony.
28/12/13
25/11/13
La cucina giocattolo è sessista?
La cucina giocattolo per Emma @Gigi Pettenuzzo |
“Non ti offendere, eh, ma che bel regalo istruttivo. Ho
visto al supermercato anche l'aspirapolvere in miniatura per piccole casalinghe
crescono, fate il set.”
“Peccato ke non ho una femminuccia”
“Ale, cucinano anche i maschi, eh!”
La cucina giocattolo che regaleremo a Emma per natale ha
scatenato gli animi. Qui ci sono un paio di messaggi che mi sono comparsi sulla
bacheca di FB.
Quindi? Come la mettiamo?
La cucina giocattolo è sessista?
O no?
Sono una femminista incallita, lo sapete. Eppure questo regalo
che stiamo per farle non mi turba. Prima di tutto perché so che le piace, visto
che i gioca ogni volta che ne trova una a casa di amici e parenti. E poi perché
la cucina e il cucinare sono l’unico ambiente neutro in casa mia.
Io e mio marito, nonostante i miei sforzi, siamo lontani dalla
perfetta alternanza dei ruoli. I mestieri come spolverare e lavare per terra
sono miei. Stiro io. Lavo io. Stendo io. I letti li faccio io. La roba stirata
la metto a posto io.
Lavoriamo entrambi, io faccio al freelance da casa e lui il
falegname. Ma non c’è verso: certe cose non c’è modo di fargliele fare.
Gliel’hanno inculcato da piccolo e la cosa si è trascinata fino ai trent’anni.
Quindi posso puntare i piedi quanto voglio: difficile cambiare le cose.
Però in cucina è diverso. In cucina ci dividiamo. È una cosa che
ci viene naturale: io preferisco cucinare i primi, la pizza, cose così. Lui è
un asso con la carne. È creativo e gli riesce bene. Emma in cucina ci vede
collaborare, fare a metà, darci da fare entrambi. La cucina è il luogo della
collaborazione.
Quindi quest’anno la cucina giocattolo coloratissima entrerà
trionfale in casa la notte di Natale. E la certezza è che ci giocherà anche suo
fratello.
Il fine è che lei si diverta come ci divertiamo noi quando
prepariamo la cena insieme.
Per il resto no, non avrà un aspirapolvere e nemmeno un asse da
stiro. Perché vede che li uso solo io e la nonna, e da quello si che potrebbe
ricevere solo spunti negativi.
Tanto più che dubito ne esistano di colori neutri. Temo che ci
siano solo rosa.
Detto questo al piccolo Giovanni verrà insegnato a cucinare, a
stirare, a fare i letti e i mestieri perché è giusto che diventi indipendente.
E
sono certa che se a un certo punto dovesse arrivare il banco da falegname con
gli attrezzi, Emma lo adorerebbe. Solo che fino ad ora ha dimostrato più
interesse verso la cucina.
Forse
perché non sa che sua madre adora usare la levigatrice orbitale in capannone… avrà
modo di scoprirlo più avanti, quando potrò tornare ad usarla.
Voi cosa ne pensate? La cucina giocattolo è sessista a prescindere? O è l'atteggiamento tra mamma e papà in casa che ne determina la percezione?
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13/11/13
Si chiamerà Giovanni.
“Come
lo chiamate?”
“Giovanni”
“Oh,
finalmente un nome normale: qui ormai è tutto un Lucrezia, Leone e via dicendo…”
“Il
nome? Scelto?”
“Giovanni”
“No!
Che nome vecchio!”
“…E
come si chiamerà?”
“Giovanni”
“Ma
dai! Come… come il nonno, giusto?”
“Quindi?
Nome?”
“Giovanni”
“Mh.
Bello. Un po’ lungo”.
“Come
hai detto che fa di nome?”
“Giovanni”
“Mh.
A voi piace?”
“Al
s’a ciama?”
“Giovanni”
“Eh?”
“Giovanni”
“O’
mia capì”
“GIOVANNI,
NONNA! GIO-VAN-NI!”
“Gio
che? Gha senti poc!”
“GIOVANNIIIIIIII!”
“Ah.
Bon.”
“Hai
capito?”
“Eh?”
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nomi maschili.
12/11/13
Sono la mamma blogger perfetta.
Ieri su twitter mi è balzato all’occhio un post dove si invitavano le mamme blogger
a degli incontri formativi. Clicco e mi si apre un post pieno di promesse:
Speech
gratuiti e corsi, tutti rigorosamente free, dove ti insegnano manutenzione del
blog (e va bene), competenze e gestione degli emolumenti (perfetto) e poi dei
corsi per le mamme perfette: tecnica foto per realizzare foto per il sito
(occhey…), riciclaggio creativo (mh, sniff, puzz…), cupcake natalizio (ma
perché?) e uncinetto (scherziamo, vero?).
Poi
c’ho pensato sopra ed è vero: sono una pessima mamma blogger. Mea culpa. Le
vere mamme blogger devono saper cucire, devono saper cucinare, devono saper
riciclare. E devono essere felici. Sempre. Stupida io che pensavo che fare la
madre fosse un altro mestiere.
Quindi
mi sono adattata al trend ed ecco i miei consigli da mamma blogger come Dio
comanda e web vuole:
Questi
pene e queste tette di maglia (si, non è uncinetto, ma non sottilizziamo), oltre
che essere adorabili sono a sfondo benefico per una raccolta fondi contro il
cancro e sono stati fatti da un’artista geniale: Shannon Gerard
Si
posso acquistare. Cosa ve ne fate? Volete mettere che figurone, magari
applicate alla sciarpetta dei vostri piccoli? Oppure alla vostra?
Io
non amo cucinare, ma mi assicurano che sono buonissime. Quando si dice prendere
un uomo per la gola, qui lo strattonate forte forte anche per il pisello. Queste le fa Holly & The Icing.
Potete
seguire il tutorial. Se poi volete darle da mangiare ai pargoli a colazione,
potete sempre realizzare un’ape da metterci sopra, così gli spiegate anche la
questione della procreazione e vi siete portate avanti col lavoro.
E' possibile fare vasi e vasetti colorati recuperando lampadine dismesse e creare
mobiletti con i cestelli delle lavatrici, il teorema vale per tutti. Quindi,
visto che non si butta via niente, come per il maiale, cari i miei lettori un
po’ suini eccovi svariati utilizzi del vibratore, che può essere comodamente
adattato alle esigenze della massaia moderna e felice. (credo che le foto siano una campagna pubblicitaria giapponese, o giù di lì, quindi scusate se non cito la fonte vera: l'ho trovata su nonciclopedia ma neanche loro mi dicono di chi è).
Ok. Ora sono ufficialmente la mamma perfetta. Anzi, la mamma blogger perfetta. E se
avete pazienza giusto quei due mesi, mi lasciate partorire e vi racconto la
beatitudine di farsi spaccare in quattro la passera da un colosso di quasi
quattro chili. Ovviamente sorridendo e dicendovi che è tutto perfetto e
bellissimo. Perché sei mamma. E quindi va tutto bene.
Ora, ditemi la verità: è davvero così che volete farvela raccontare la maternità? Sicuri? Perché a me ‘sta roba sa
tanto di di stereotipo di genere in cui ci siamo infilate, più o meno felicemente, da sole.
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08/10/13
Io, l'epidurale e Iggy Pop.
Ve lo dico senza giri di parole: io a questo giro
mi faccio fare una tromba di epidurale così tosta che mi si deve materializzare
Iggy Pop sulla porta della sala parto e chiedermi di fargliela provare.
Non me ne frega nulla del parto naturale e di tutto
quello che mi sono sentita raccontare durante il primo corso preparto: che è
sempre stato così, che è la cosa migliore per il bambino, che in Africa le
donne si fanno legare agli alberi per partorire. Vai a farti cavare un dente
senza anestesia se lo vuoi fare. Io no.
“Partorirai con dolore” è il
peggior augurio che si possa fare a una donna. Ci sono passata: non è stata la
cosa migliore né per me, né per Emma, ora col senno di poi posso dirlo. E non
mi interessa se all’ingresso della sala parto del “Ponte” le ostetriche che mi
hanno avuta in cura ancora parlano di me e della mia resistenza al dolore come
una specie di fenomeno da emulare.
Io a ‘sto giro non voglio sentire nulla.
Quello che ho provato col primo parto e che ancora
mi ricordo minuto per minuto mi è bastato (a proposito: non è vero che il
dolore si dimentica. Sappiatelo.)
Se state pensando di cominciare una filippica sul
fatto che l’ho presa male e che ci devo pensare, siete cordialmente invitati a
girare i tacchi e andarvene.
Mi sono fatta il Vietnam andata e ritorno senza
morfina, 10 ore con dolori di tutto punto.
Non ne voglio più sapere. Ho dato. Mi sono
lacerata. Quando mi hanno ricucita (tutta, e quando dico tutta, significa che
mi hanno rimessa insieme lembo per lembo) l’anestesia non prendeva più. Grazie
di tutto, saluti e baci, ma io di naturalità, mondo meraviglioso e dolore
positivo non ne voglio sapere nulla.
Se va bene per voi non significa che vada bene per
me. Quindi grazie ma se c’è lì nascosto qualche talebano o talebana della
nascita naturale, la porta è quella.
Anche perché a questo giro il nano si presenta
fuori misura già al sesto mese. Il Capoccione, come è stato ribattezzato
affettuosamente dalla mia amica Giulia, è candidato a spaccarmi in quattro già
adesso.
“Signora, non ci pensi ora, poi vedremo. Intanto
mangi pochi carboidrati, che quelli fanno ingrossare lei e il bambino” è
stato il consiglio della ginecologa. Io avrei preferito sentirmi dire “Stia
tranquilla. Se è troppo grosso programmiamo un cesareo, non ha senso soffrire”.
Invece sono qui già in ansia, piena di paura dopo
tutto quello che ho passato e che dovrò passare.
Non voglio senti fiatare nessuno. Io con la passera
ci lavoro. Anzi, ci scrivo. E per me avere quella cicatrice lunga che
arriva fino a dietro equivale ad averla in faccia.
Ho fatto un anno senza guardarmi lì sotto,
piangendo dal terrore di non tornare più come prima. E infatti così è: non sono
più come prima. Funziona abbastanza, ha nuove abitudini sue, ma non è più come
prima. È cambiata in peggio. Non tantissimo, ma meglio di certo no.
E se siete lì a pensare “hai fatto un figlio,
non potevi pensare che saresti stata come prima” beh, all’alba del 2013 io
mi aspetto che la medicina e la chirurgia possano far fronte a questo evento
così tanto “naturale”. E invece ti trovi ricucita in modo funzionale, ma non
ottimale, sei attorniata da amiche che hanno tutte esperienze molto diverse,
c’è quella che non si è ripresa mai, quella che dopo il cesareo ha delle strane
aderenze incurabili, quella che ha perdine urinarie sempre, quella che ormai
convive con infezioni continue perché ha due buchi dove ce ne dovrebbe essere
uno.
Ecco, magari poi me lo spiegate tutto questo col
miracolo della nascita…
Me la spiegate la naturalità del rimetterci per
sempre la funzionalità (e la felicità) nell’utilizzare un organo così
importante solo perché ho deciso di fare figli?
Hanno fatto le ginocchia bioniche perfettamente
funzionanti…. Perché non si può avere la passera in titanio? Perché ho la
sensazione che parlare del post parto arriviamo sempre e solo a parlare della
condizione del figlio e solo in minima parte a quella della madre?
Ho il sacrosanto diritto di difendere la mia
vagina dalla distruzione funzionale ed è quello che ho intenzione di fare.
A costo di fare un casino del boia.
E se qualcuno vuole venire a indottrinarmi sul fatto che è sempre stato
detto “partorirai con dolore”, beh, si, sono una pessima cristiana, ma una
straordinaria peccatrice. E voglio continuare a esserlo gloriosamente.
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