04/09/09

Copio e incollo.

Questo bellissimo articolo di Loredana Lipperini.
"VENERDÌ, 4 SETTEMBRE 2009
FACCIAMOLO
L’articolo per l’Unità è uscito questa mattina. In attesa che sia anche on line (presumibilmente qui), lo posto. Molti di voi conosceranno già alcuni degli esempi e delle argomentazioni utilizzati. Quel che mi interessa è la parte finale. Facciamoli, questi stati della comunicazione: non so come e non so dove, ma vanno fatti. Suggerimenti benvenuti.

Agosto.

Sfoglio le bozze di un romanzo italiano che uscirà in autunno: protagonista, una ragazzina dotata di poteri paranormali. Ma, soprattutto, bella: il suo potere è la bellezza, sostiene anzi, come una Winx appena un po’ cresciuta. L’autrice del romanzo è una giovane donna intorno ai trent’anni, di grande intelligenza e attenzione. Ma leggendo la storia, sembra che la questione del corpo, del corpo gradevole, del corpo potente perché gradevole, anzi, sia la lastra di vetro su cui il suo personaggio batte le mani senza riuscire a infrangerla.

Il corpo siamo noi, mi scriveva qualche mese fa una collega, sempre intorno ai trent’anni, brava, curiosa, appassionata: cosa ci resta, oltre al corpo?

Quelle di cui parlo sono donne in buona fede, brave, preparate, impegnate in professioni intellettuali, accomunate soltanto da una fascia d’età che per lo più ha guardato con insofferenza al femminismo. Perchè quando il frame è identico per tutte – il corpo delle donne è la fortuna delle donne – è difficile sfuggire. Prima dell’estate, l’autrice Debora Ferretti, che ha scritto per Castelvecchi il tristissimo “Manuale delle giovani mignotte”, dichiarava in un’intervista: “ è ora di smetterla con la falsa morale e le ipocrisie di facciata. Basta additare le veline perché non sanno chi è il ministro della giustizia. Basta scandalizzarsi perché le telecamere di Miss Italia inquadrano il culo, che non si chiama più culo ma lato B. Basta scuotere la testa quando la showgirl sposa il milionario che ha tre volte i suoi anni. Viviamo, purtroppo o meno, in un’epoca e in un Paese in cui i parametri per far parte delle classi privilegiate, come la classe politica o quella del mondo dello spettacolo, si sono molto allontanati da professionalità, preparazione e competenza. Se tra questi parametri rientrano un paio di gambe e dei seni prorompenti, a me non stupisce e non mi fa indignare”. E aggiungeva: “Via dalla integraliste il cui impeto seduttivo innato è stato annullato da false credenze e sensi di colpa immotivati”. Ecco.

Agosto. Nel mio paese, un piccolo centro nelle Marche, si assiste ad una spaccatura feroce tra due schieramenti politici: quello di centro sinistra si è confermato alle amministrative per sei voti, e quello di centro destra promette opposizione durissima. La mette in atto organizzando una notte bianca “per riaccendere la fiamma dello sport”, con elezione finale di Miss Maglietta Bagnata. Ne discuto, costernata, con una ragazza – ancora una volta intorno ai trent’anni. Mi dice: ma in fondo cosa c’è di male? Perché mortificare il corpo? Perché impedirci di essere belle?

Agosto, ancora: rivendicare l’uso del corpo come passepartout è eredita del 68, rifletteva a Fahrenheit, la splendida trasmissione culturale di Radiotre, uno psicologo con cui condividevo una riflessione sul giochino on line che insegna alle bambine a farsi veline. Anche questa, sosteneva il mio interlocutore, era la conseguenza di quella battaglia. Sciolti i lacci, ognuno fa quel che desidera del corpo: anche usarlo invece del resto (ovvero il talento, l’intelligenza, lo studio, la preparazione, la passione). Se davvero il corpo è nostro, che male c’è?

Agosto, sulla fine. Discuto con un’amica avvocata che sostiene la stessa tesi. Il corpo mi appartiene e posso usarlo per fare la escort, o per ottenere un programma in Tv. Giuridicamente, è così, mi dice. E io le rispondo che allora mi appartiene sempre, quel corpo: anche quando è gravido, o morente. O cenere.

Comunque la si giri, l’equivoco è qui. E’ lo stesso che ha portato Niccolò Ghedini a urlare “bigotta” a Emma Bonino, in una puntata di Annozero. Ricordo bene il volto sbigottito di Emma che diceva: “io?”: e capisco lo stupore, perché ero al suo fianco, svariati lustri fa, quando si trattava di difendere diritti indifendibili,inclusi quelli della sessualità e, sì, del corpo. E’ lo stesso equivoco che porta molte donne a scambiare indignazione per integralismo, e a supporre che una generazione di frustrate intenda togliere alle più giovani il diritto alla bellezza, e alle meno giovani quello di restare tali.

C’è una reazione molto semplice quanto efficace che si può tentare: mostrare il paginone del Domenicale di Repubblica di qualche settimana fa, dove venivano ritratte tutte le Miss Italia dalla nascita del concorso. Le ultime sei sono indistinguibili. E a subito dopo bisognerebbe chiedere: questo significa rivendicare la bellezza? Essere identiche a qualcun altro? Appartenersi è un esercizio di cesello per adeguarsi a un modello dato? Appartenersi significa dover sottostare a un gioco di cui non si sono fornite le regole e non si sono nemmeno lette quelle date da qualcun altro? Appartenersi è difendere la desiderabilità formato Mediaset a tutti i costi, per parlar chiaro?

Detto questo, non è neanche vero, non del tutto, che il silenzio delle donne sia assoluto. Non lo è in rete, per esempio: dove da anni le donne scrivono e si incontrano e si organizzano secondo schemi che non sono più quelli della piazza, ma possono funzionare ugualmente bene. E anche meglio. Mi viene in mente la recente campagna pubblicitaria di una banca che dopo le mail di protesta non si vede più. Se l’aveste persa, è quella della vigilessa che si avvicina all’indisciplinato automobilista con il blocchetto delle multe in mano, e gli comunica l’entità della violazione. Cinquanta euro. Al che, il simpatico automobilista risponde:“Sali.”. In linea con quei nove milioni di italiani adulti che sono clienti abituali delle prostitute, anche se facciamo finta di no. In rete si sono mobilitate in tante, hanno inviato la loro protesta per posta elettronica e a tutte la banca ha risposto “ma noi volevamo far sorridere gli italiani!”.

Ah, e poi c’è stata la faccenda della Guinness. Una finezza, visibile su YouTube. Scena: una copula che ritrae solo i tronchi dei copulanti, manco fossero i lumaconi visti sempre in agosto sul muro della mia casa marchigiana. Senza testa: perché il concetto di bellezza attuale prescinde dall’unicità degli individui. E’ carne, un tanto al chilo, e i volti non servono. Lei sta sopra, lui sotto. Sul culo di lei c’è una bottiglia di Guinness, e poi si vede una mano maschile, che non è del signore di sotto ma appartiene ad altri, che la prende e la posa, dopo aver bevuto. E poi una seconda mano fa la stessa cosa. Infine, la fa anche quella del signore copulante. E lo slogan è “Condividila con un amico. Anche con due”. “Bigotte”, dicevano i commentatori alle commentatrici che postavano “che schifo”. Ma le commentatrici c’erano, questo è il punto.

Bigotte. Ecco, a questo non ci sto. A passare per una generazione talebana che alza il ditino e dice “allungatevi le gonne e mortificatevi”, io non ci sto. A passare per le madri o zie noiose, che citano Beauvoir in virtù di una giovinezza finita, io non ci sto. Perché non è mai stato questo quel che abbiamo detto e desiderato. Abbiamo parlato di scelta, certo: ma soprattutto di consapevolezza della scelta. C’è, questa consapevolezza? Nel famigerato immaginario, esistono i modelli che permettono di acquisirla? Se in televisione vediamo soltanto o fanciulle identiche e assai nude o la nobile vecchiaia intellettuale e scarmigliata di Margherita Hack, manca qualcosa: mancano le tantissime donne normali che vogliono davvero tutto: l’armonia del corpo e della mente, la valutazione che passa per le proprie capacità e non (solo) per il proprio aspetto.

Per questo, credo che sia importante cominciare da qui: dai luoghi dell’immaginario. Dalla televisione (perché chi inquadra la Silvestedt basso-alto e alto-basso nella Ruota della fortuna è una donna e lo fa lo stesso?). Dai giornali. Dai libri. Con altre donne, abbiamo ragionato – fin qui solo via mail - dell’importanza e dell’urgenza di dar vita a un incontro. Stati generali della comunicazione e questione di genere: credo che sia indispensabile farlo: e approfitto di queste pagine per lanciarli. Facciamolo. Perché il nodo è qui: l’immaginario. Molti e molti anni fa, con la nascita di Drive in, altri hanno creato quello che ora ci sta schiacciando. Adesso, tocca a noi."

4 commenti:

pino s. ha detto...

Ciao Vale, questo link riguarda il tuo amico Roberto Saviano: credo che ti farà arrabbiare...

http://pdvedano.blogspot.com/2009/09/sono-solo-barzellette.html

Valentina Maran ha detto...

Grazie per la segnalazione, Pino.
Non ho parole...
Meno male che Roberto è un tipo in gamba e non si lascia scalfire dalle cazzate di Fede.

Anonimo ha detto...

Grazie di cuore per aver segnalato questo articolo.

Marcella

Valentina Maran ha detto...

Figurati Marcella.
E' un piacere!
: )

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