È passato un anno, Giovanni.
Un anno da quando sei nato.
Eppure non riesco a
dimenticare. Non riesco a far diventare quel giorno solo il nostro ricordo. Di
me e te.
La nascita di noi due come
madre e figlio.
Per tua sorella è stato
diverso. Per tua sorella, nonostante il dolore di 10 ore di travaglio, quel
parto è stata una gioia. Per te no. Per te ricordo solo lo schifo della gente, le
male parole, lo sfregio, l’umiliazione, e spero mi perdonerai, perché io non
posso perdonare loro.
Non posso lasciar passare il
fatto che ci abbiano tolto il ricordo, piccolo mio.
Io e te non abbiamo il primo
abbraccio, non abbiamo il primo vagito. Non abbiamo neanche un momento che
posso ritenere unico e speciale.
Ci hanno scippato la gioia,
tesoro. Ci hanno rubato la magia della nascita, che può essere magia anche per
un cesareo, se chi hai intorno ti fa vivere quel momento bene.
Io di quel giorno mi ricordo
la menzogna, le bugie che mi hanno detto dall’inizio. Ricordo l’incompetenza della
persona che mi ha assistita. Ricordo la sua faccia, i suoi modi sgarbati, ricordo
le parole dette prima per sminuirmi, poi per sbeffeggiarmi.
Ricordo le urla, gli insulti
delle altre ostetriche e della ginecologa.
Ricordo l’odio, profondo che
ho provato. E la paura di morire. In quel giorno che doveva essere di nascita
io ho avuto paura della morte, e lo ammetto tesoro, ho avuto paura prima per me
che per te.
Non sei nato nell’amore, ma
sei arrivato in una specie di campo di guerra, tra gente che mi urlava che la
dovevo smettere, come se non fosse un mio diritto volerti far venire alla luce
in piena sicurezza e in un modo più civile e umano.
Sei arrivato nell’odio. Io,
mentre ti partorivo, odiavo. Ho voluto il male di tutte quelle persone che mi
hanno tanto umiliata quel giorno.
Mi spiace, avrei voluto
accoglierti piena di gioia, mi hai trovata piena di rancore, arrabbiata, delusa
e devastata.
Tanti mi hanno detto “lascia
perdere”, ma tua madre è così, è una cocciuta, te ne sarai accorto. Tua madre
non lascia correre.
Il giorno della tua nascita,
il nostro giorno, doveva essere un giorno speciale Giovanni.
È diventato il giorno in cui
invece celebro il ricordo dell’incompetenza della struttura sanitaria che ci ha
accolto.
Non posso dimenticare. Non ci
riesco.
Spero mi perdonerai per
questo. Non avrò cose belle da raccontarti ma solo le urla, il rancore, il
freddo di quella stanza.
E finalmente il tuo viso,
quando mi sono svegliata dall’anestesia.
Non ho momenti belli, tesoro.
Dovrai avere la pazienza di costruirli con me giorno per giorno. Ce li hanno
tolti senza pensare a cosa significhi. Mi hanno fatto barattare la tua nascita
con la violenza.
Calci in faccia al posto di
un figlio, prendere o lasciare.
Mi hanno fatto fare i conti
con la morte, mi hanno fatto provare l’estrema paura di non potercela fare.
Invece eccoci qui, con te che quasi cammini e io che mi gratto le cicatrici che
ancora prudono.
Ci hanno tolto il ricordo,
tesoro. Quello non è risarcibile. Quello non lo possiamo rifare.
Posso solo promettere bei
giorni a venire.
Quello che mi fa rabbia è che
tutto questo si poteva evitare. Se solo le persone avessero fatto il loro
mestiere come andava fatto.
È passato un anno dalla
nostra macelleria messicana, e quella che è stata per me continua a esserlo per
molte altre donne che passano in corsia.
Giovanni, buon compleanno
amore mio.
E mi spiace che il tuo primo
inno alla vita sia stato un sonoro vaffanculo di tua madre.
(Ho solo un pensiero, ancora per la donna – la pessima
ostetrica che ha fatto tutto questo: le auguro di rimanere presto incinta, di
avere la stessa identica assistenza che lei ha dato a me, e nel momento in cui
prova il maggior dolore, quando si troverà a invocare un cesareo e ad avere la
paura di morire, spero che la persona accanto a lei le dica le stesse parole
che lei mi ha rivolto quel giorno: “Piantala di fare i capricci”. Tanti auguri
anche a te, stronza.)
3 commenti:
Straziante..
Ma cos'è successo???
Hai poi avuto qualche risposta? Li avevi denunciati o sbaglio?
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