29/05/13

Il posto (bello) dei libri.


Una mia cara amica, Chiara Beretta Mazzotta, ha un sito bello e interessante per chi ama leggere: si chiama Bookblister.
Ha lanciato un'iniziativa davvero simpatica: potete mandare all'indirizzo bookblister@gmail.com la foto della vostra libreria con un paio di righe per spiegare com'è organizzata.
Le pubblicherà sul sito.
Dai, lo so che siete orgogliosi della vostra: io della mia (che vedete nella foto) tantissimo.


27/05/13

La verità, vi prego, sull'aborto.


La 194 è in pericolo: svuotata da dentro a causa dei medici obiettori che ormai sono diventati l'80% del totale. Con ogni probabilità tra un paio di anni non sarà più possibile abortire in Italia.
C'è un libro interessante che analizza l'aborto, il senso di colpa, il peso della cultura cattolica, la presenta delle associazioni pro-life in luoghi dove forse sarebbe meglio dover stare serenamente con sé stesse e basta: si tratta di "A. La verità, vi prego, sull'aborto" di Chiara Lalli.
Ve lo consiglio. Sia che siate no-choice (quindi pro-life) , sia che non lo siate.
"L'inferno dell'aborto sono gli altri" cita il libro.
Comunque la si pensi sull'aborto, io credo che il diritto alla scelta, se poter abortire o meno, debba comunque essere difeso.

Qui il mio pezzo su Elle.it. 

22/05/13

NutellaDay. L'epilogo.

E vissero tutti felici e contenti. La Ferrero e la blogger appianano la questione. Pare  fosse solo una procedura standard legale.
Detto questo ribadisco: personalmente trovo che certe aree come pagine fan, domini internet etc. vadano presidiati continuamente e le persone che le gestiscono contattate e verificate. Non si sa mai quello che può succedere.
Buon lavoro.

21/05/13

Dubbi leciti.

Ripropongo qui di seguito due commenti al post sul  NutellaDay.
Lo faccio perché mi fanno venire qualche sano dubbio, che mi piace condividere.
Ci sta tutta che abbiano ragione Stefania ed Elisabetta (beh, a livello di storytelling però ha più fascino la fase della superfan tradita, ammettiamolo! E se ha fatto apposta è un genio del male. E a me i personaggi cattivi piacciono da morire!)
Grazie per i commenti e le strigliate, a prescindere. : )



 Stefania Boleso ha detto...
Vale, credo che la storia sia più complessa di quella che appare, ovvero Ferrero, azienda brutta, cattiva e insensibile, che si mette contro una superfan per mancanza di sensibilità e capacità di ascoltare.
La superfan in questione pare infatti essere un'abile marketing strategist (insomma, una mia concorrente) e non una semplice casalinga di Voghera, quindi non è da escludere che abbia architettato tutto per far fare una brutta figura a Ferrero, per chissà quale motivo... Insomma, ci sono molte cose che a me non tornano.
Ti consiglio, per qualche spunto interessante in più sul caso, questo post http://paoloratto.blogspot.it/2013/05/nutella-social-fail-spiegazione.html
E poi stiamo a vedere come evolve...

Blogger Elisabetta Cattaneo mallone di novi ha detto...
Ma si, diffondiamo pareri e creiamo dubbi, uccidiamo anche quelle poche aziende italiane che non rubano, non sono indebitate, danno da lavorare a molte persone e sono ancora sane. È non parlo dei prodotti, variabilmente discutibili secondo i gusti, ma rimango sempre un po' stupita dalla superficialità di questo genere di post, che sulla base di una notizia "stampa" ( di default parziale, nel senso che non ha mai lo spazio per raccontare tutto) parte con delle elucubrazioni potenzialmente nocive... Perché non dare credito all'azienda.? È se anche avesse sbagliato qualcosa, ammesso e non concesso che sia vero, perché attaccar la subito? 


Nutella Day. Finale amaro.



È di oggi la notizia che Ferrero ha intimato alla blogger Sara Rosso di non utilizzare mai più nome e logo dell’azienda neanche per l’evento da lei inventato, ovvero il “ World Nutella day” attivo da alcuni anni a questa parte e celebrato un po’ ovunque in rete e non.
Non una cosa da poco, ma un’iniziativa senza scopo di lucro, nata dalla passione di una fan che era riuscita a raccogliere adepti.
Perché la scelta di Ferrero di intimare l’alt? Magari a un certo punto della vita qualcuno in azienda si è svegliato, magari avranno progettato qualche mega campagna mondiale chiamandola NutellaDay e al momento di acquistare lo spazio qualcuno ha detto “Hey, esiste già”?  Quindi che fare? Cestinare tutto il campagnone su cui sono stati spesi mesi di strategia e dove si sono fatti friggere i migliori cervelli dell'azienda oppure trovare una soluzione alternativa? Tra le due la seconda, direte voi. Già, peccato che la soluzione B sia a dir poco drastica e sfiori l' Epic fail.
Perché aspettare tanto per rivendicare l’utilizzo di un nome e di un evento?
Perché non piantonare da subito, dalla nascita dei social, i propri spazi?
Ho lavorato per un autore italiano molto celebre, un nome noto: le pagine fan su Facebook a suo nome o a lui dedicate nascevano come funghi. Le abbiamo monitorate, abbiamo controllato che non utilizzassero il nome a sproposito e che si presentassero chiaramente come pagine fan o che qualunque attività sul web fosse dichiaratamente farina del sacco di un fan che lo faceva per stima e affetto. Diversamente qualunque pagina equivoca veniva segnalata e invitata a chiudere, sia su Fb, sia su twitter, sia su qualunque altra piattaforma, compresi i blog. Oppure venivano fatte migrare nella pagina fan ufficiale, accumulando l'ammontare dei fan totali.
La parola d’ordine era “controllo”.  Intendiamoci: non deve essere necessariamente così per tutti: ci sono anche brand che amano "guardare da fuori l'effetto che fa" e funziona anche. (Avete visto quante pagine fan ci sono di Vespa della Piaggio? Ecco.)
Qui si tratta di un brand famoso, di un’attività fatta gratuitamente da una fan che nel tempo ha raccolto un quantitativo incredibile di ricette, tweet e sentimenti di altrettanti fanatici della Nutella che hanno generato contenuti notevoli.
Perché allora inimicarseli?
Nutella ha provato a parlare con la blogger e renderla parte attiva del progetto? Perché toglierle tutto quando ha dimostrato di essere così incredibilmente capace di gestire le pagine attorno a Nutella?
Perché non capitalizzare tutto quel lavoro?
È un epic fail? Sarò sincera: non credo che la gente smetterà di mangiare Nutella dopo questa scelta. Il prodotto non sarà boicottato.
Certo, magari il pubblico nutrirà antipatia per l’azienda in sé, ma ho la sensazione che non ci sarà un allontanamento dal brand. La gola è più forte del risentimento e rinunciare per protesta a un prodotto che di fatto dà dipendenza è difficile.
Credo, invece, che l’azienda abbia mal gestito una possibilità di marketing straordinaria, con un quintale di contenuti già pronti, interessanti e fruibili. Così facendo Ferrero cestina tutto: fan, materiale e pagine consolidate.
Non ci fa una brutta figura Nutella. Ci fa una brutta figura Ferrero. E anche in questo caso assistiamo a una comunicazione con gli utenti che fa acqua da tutte le parti nonostante un prodotto straordinario che genera affiliazione da solo.
Peccato. Una fine amara per il NutellaDay.

20/05/13

#tisaluto


In Italia l'insulto sessista è pratica comune e diffusa. Dalle battute private agli sfottò pubblici, il sessismo si annida in modo più o meno esplicito in innumerevoli conversazioni.

Spesso abbiamo subito commenti misogini, dalle considerazioni sul nostro aspetto fisico allo scopo di intimidirci e di ricondurci alla condizione di oggetto, al violento rifiuto di ogni manifestazione di soggettività e di autonomia di giudizio.

In Italia l'insulto sessista è pratica comune perché è socialmente accettato e amplificato dai media, che all'umiliazione delle persone, soprattutto delle donne, ci hanno abituato da tempo.

Ma il sessismo è una forma di discriminazione e come tale va combattuto.

A gennaio di quest'anno il calciatore Kevin Prince Boateng, fischiato e insultato da cori razzisti, ha lasciato il campo. E i suoi compagni hanno fatto altrettanto.
Mario Balotelli minaccia di fare la stessa cosa.



L'abbandono in massa del campo è un gesto forte. Significa: a queste regole del gioco, noi non ci stiamo. Senza rispetto, noi non ci stiamo.
L'abbandono in massa consapevole può diventare una forma di attivismo che toglie potere ai violenti, isolandoli.

Pensate se di fronte a una battuta sessista tutte le donne e gli uomini di buona volontà si alzassero abbandonando programmi, trasmissioni tv o semplici conversazioni.

Pensate se donne e uomini di buona volontà non partecipassero a convegni, iniziative e trasmissioni che prevedono solo relatori uomini, o quasi (le occasioni sono quotidiane).
Pensate se in Rete abbandonassero il dialogo, usando due semplici parole: #tisaluto.


Sarebbe un modo pubblico per dire: noi non ci stiamo. O rispettate le donne o noi, a queste regole del gioco, non ci stiamo.

Se è dai piccoli gesti che si comincia a costruire una società civile, proviamo a farne uno molto semplice.
Andiamocene. E diciamo #tisaluto.

Questo post è pubblicato in contemporanea anche da altre/i blogger:Marina TerragniLoredana LipperiniLorella ZanardoGiovanna CosenzaSabrina Ancarola, MammamsterdamZeroviolenzadonneUn altro genere di comunicazione, Ipazia è(v)vivaLa donna obsoletaLaboratorio DonnaeSud De-Genere,Coppette amore e..., Politica FemminileCaso maiZaubereiCosmic Mummyin generethe new Brix Blog,Mammaeconomia, Donne in ritardo


E nella versione maschile da Lorenzo Gasparrini.


Se ti va, copincollalo anche tu!

15/05/13

#epicfail: non lanciate quel trend topic.



Su twitter sto assistendo al massacro mediatico di due trend topic: #granaroloperildomani e #missitaliacontinua.

Premessa: un marchio o un’azienda che decide di lanciarsi in iniziative social dovrebbe prima di tutto fare uno screening della situazione. Ha effettuato licenziamenti? È in una situazione discutibile moralmente? Si è macchiata di qualche azione non proprio limpida e favorevole?
Preso atto che un buon 99% delle aziende si trova in questa situazione, è importante studiare un piano anticrisi.
Se non siete chiari e limpidi verrete criticati. Se lanciate un #hashtag su twitter dovete prepararvi a tutto, soprattutto al peggio, perché nonostante i buoni propositi con cui state sostenendo la vostra iniziativa non dovete dimenticare che il pubblico, soprattutto quello di twitter, è vivo e attivo, e può vanificare completamente quello che avete intenzione di fare.

#epicfail, quando il tweet vien per nuocere


Come uscire dalla situazione di crisi?
1-    non se ne esce: bisogna essere attivi, pronti e informati. La crisi va affrontata.
2-    Si risponde: non c’è niente di peggio che lasciar morire nel nulla le critiche. Rispondere in modo chiaro, controllato e obiettivo è l’unico modo per non perderci la faccia. Bisogna essere competenti e sinceri. Ammettere anche l'errore, se è il caso. Gli utenti non sono stupidi e un media come twitter vi si può riversare contro.
3-    Non cancellate i tweet. Non chiudete la pagina, non cercate di metterci una pezza. La gente è abituata a  fare screenshot di tutto. Cancellare è un atto di codardia. E si paga in termini di immagine.
4-    Un utente che viene convinto delle vostre posizioni diventerà un brand ambassador appoggiando la causa.
5-    L’immagine dell’azienda passa anche dal vostro modo di twittare e gestire la crisi. Scegliete bene cosa fare. Già fare un passo falso è grave, ma postare le risposte sbagliate è pure peggio. La vicenda Parah insegna.

Ovviamente non si può prevedere tutto, l’ironia e il sentire comune della rete sono talvolta insondabili e improvvisi. Quindi preparatevi a qualunque tipo di reazione.

#granaroloperildomani è stato oggetto di critiche durante una conferenza a Milano: i facchini che protestavano per le condizioni di lavoro e le condizioni salariali si sono fatti sentire su twitter.
#missitaliacontinua tenta di trovare nella rete un appoggio per tornare in tv.
Io personalmente spero non ci riesca.

E voi?

09/05/13

#womenMag2013. Come ti presento il Magazine.




All’ingresso mi saluta Claudia Ronchi, la persona che mi ha scritto per invitarmi alla presentazione, del rilancio di tre magazine del gruppo: TuStyle, Donna Moderna e Grazia, per un “riposizionamento che non ha precedenti nell’editoria italiana”.
Se non ha precedenti, vale la pena esserci, mi dico. Quindi eccomi qui, l’8 maggio, al terzo piano della Mondadori di piazza Duomo.
Mi consegna un foglietto con le credenziali di accesso al wifi e l’hashtag di riferimento #womenMag2013 che useremo per il live twitting.
Qui il primo dubbio della giornata: ma quando ti danno un hashtag devi per forza usarlo bene?
Mi riprometto di scoprirlo, intanto sulla porta aspetto pazientemente con
Benedetta Gargiulo che tre individui trionfali la smettano di farsi fotografare come superstar abbracciati a chicchessia.
Entriamo e facciamo come a scuola: poltrone in fondo dove poter chiacchierare senza farci beccare.
Sembra di essere dentro al Diavolo Veste Prada, commento su twitter, ed è proprio così: tutte e tutti con il completo giusto, oppure in casual finto casual che in realtà è ricercatissimo, scarpe che vedi solo sulle riviste di moda (sarà per questo che sono qui queste persone?) e trucchi naturalissimi che costano ore di posa perché non si veda che siano trucco.
Io nella mia mise “ho altro da fare” mi accascio su una sedia e guardo il fantastico circo mediatico tutto attorno: lavoro in comunicazione, è un lancio, stupitemi.
Comincia l’AD di Mondadori, Ernesto Mauri. Carismatico all’inverosimile, il classico cliente che adorerei vedere da vicino per studiarne manie e tic, parte dicendo che è piacevolmente stupito nel vedere così tante donne. Sai com’è: siamo il target, e ci avete invitate voi. Mi parte un tweet al proposito. Forse dopo dei cecchini mi verranno a cercare per accompagnarmi fuori.
Si susseguono altri due uomini, Carlo Mandelli, direttore generale periodici Italia, ci annuncia che la parola chiave è “discontinuità col passato”. Molto bene. E allora vorrei capire come mai ci sono uomini e non donne a raccontarmelo.
Ma pazienza.
Poi è la volta di Angelo Sajeva, AD Mondadori pubblicità, che racconta di ben 29 pagine in più di pubblicità.
“Non sono giornali, ma un nuovo modo di vendere pubblicità” Dice.
Parla di òsmosi tra media. E penso che uno che viene pagato così tanto dovrebbe sapere che si dice osmòsi. Invece insiste con l’òsmosi per ben due volte, e io penso a quante volte i suoi collaboratori gliel’hanno sentito dire senza che nessuno l’abbia corretto. Perché?
Non twitto la correzione perché già lo so che da qui in poi non mi inviteranno più neanche a un the per il lancio di “cani e guinzagli”
Comunque l’òsmosi riguarda campagne stampa lancio classiche più sostegno web e social.
Peccato che non ci siano spot da vedere, non ci siamo le campagne stampa da vedere, e neanche uno straccio di minipresentazione animata della strategia social. Niente di niente. Se serviva una mano, bastava chiedere.

In tutto questo non posso che fare subito un calcolo matematico semplicissimo. Tre su tre sono uomini nelle posizioni più alte, quelli col biglietto da visita migliore. E le donne?
Le donne arrivano dopo. E sono le tre direttrici delle testate:
Marina Bigi di TuStyleMagazine, Annalisa Monfreda di Donna Moderna, e Silvia Grilli di Grazia.
Ve lo anticipo: mi sono piaciute. 
Loro, non le testate. Loro proprio. È a loro che dovrebbero fare un monumento. Loro che sono lì, nonostante dei capi dalle voci altisonanti che snocciolano cifre e ogni tanto le interrompono nel momento meno opportuno.
Loro tre che non sbagliano un accento, nonostante siano emozionate.
Loro tre che sono, a modo loro, donne diversissime e di successo ciascuna seguendo un proprio percorso. C’è la mamma, quella che vorresti come amica, e quella che invidi già solo per il vestito che indossa e che vorresti avere tu. Donne, diverse, ma in carne e ossa. Donne felici di fare quello che fanno, e si vede.
Che cosa c’è nelle nuove riviste? L’imperfezione, pare. In teoria la normalità, il divertimento, l’interazione più forte col pubblico per decidere come scalettare i contenuti, l’attualità, come il femminicidio.
Ecco, un piccolo dubbio ce l’ho, a questo punto. Se non fosse stato di moda parlarne, l’avrebbero trattato lo stesso?
Le riviste sono diverse da quello che erano? Non lo so, apprezzo gli intenti, loro che le hanno curate certamente sentiranno una zampata diversissima, vedranno differenze in ogni virgola, ma sfogliandole non mi sono sentita avvolgere da questa assoluta novità. 
C’è l’oroscopo, il test, le notizie di cucina e le pubblicità delle creme snellenti, un po’ del solito “ce la faccio a fare tutto col sorriso sulle labbra”. Ecco, ma se provassimo a non fare tutto col sorriso sulle labbra?
Però c’è anche un pezzo firmato dalla Murgia, e allora mi risollevo nella speranza che queste voci femminili, nei giornali, diventino più forti.
Ci vorrei vedere ancora meno patinatura e molto più loro, le direttore, queste donne, nelle riviste che guidano.
Finita la presentazione mi dileguo, lascio tutti a picchiarsi attorno al light lunch evitando che qualcuno mi riconosca come l’autrice dei tweet al vetriolo.

Chissà che tra qualche anno mi invitino di nuovo e possa vedere una o tutte e tre ai posti più alti della Mondadori.
Lo spero. Anche perché sono certa che nessuna direbbe òsmosi al posto di osmòsi.



06/05/13

Il pelouches e la bambina.


Guardate queste due foto:
Una è di Emotion Pets.

L'altra è di Mamy Penby (un po' inquietante il pinguino che figlia... ma ne parliamo un'altra volta)



Prodotti simili: pelouches con grandi occhioni sgranati e una bambina che lo abbraccia felice.
Stesso cliente: sono entrambi cose fatte da Giochi Preziosi.
Si, potremmo dire che il target si differenzia di quanto? Un paio di anni? Forse.
Differenze: il trucco. Fondotinta, rimmel, rossetto e contorno labbra. Serve alla gestione della storia dello spot? No.

Quello che ieri mi ha fatto urlare allo scandalo non è il gioco o la solita pubblicità dove la bimba stucchevole fa le coccole alla bestiola, ma il fatto che nello spot di Emotion Pets la bambina è truccata da adulta.
Il fine? Non lo so. Temo rendere più appetibile il prodotto, ma per chi? Per genitori che sognano figlie agghindate così? A che età è lecito far truccare una bambina? E negli spot? Perché la tv ci sta mostrando questa distorsione della realtà?

Lo ribadisco: lasciate che le bambine restino bambine. 
Hanno tempo per crescere. Se glielo lasciate fare.

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